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Former French President Nicolas Sarkozy, next to his wife Carla Bruni Sarkozy, speaks after a Paris court sentenced him to 5 years in prison and said he'll be incarcerated even if he appeals, after finding him guilty in his trial for alleged illegal campaign financing by Libya, Thursday, Sept. 25, 2025 in Paris. (AP Photo/Michel Euler) Associated Press / LaPresse Only italy and spain
«Persecuzione», «magistrati politicizzati», «attacco allo Stato di diritto», «golpe giudiziario», «magistratocrazia», «magistratocratura». Tra nervi a fior di pelle e neologismi, oltre le Alpi si respira un’aria da resa dei conti tra parte del mondo politico e la magistratura. La condanna a cinque anni di carcere per l’ex presidente Nicolas Sarkozy con esecuzione provvisoria della pena (il 13 ottobre saprà quando si spalancheranno le porte della prigione) nonostante sia ricorso in appello ha infatti scatenato una bufera mediatica, monopolizzando le aperture dei quotidiani e dei tg.
Se la sinistra si schiera compatta con i giudici e, in alcuni casi, esulta sguaiata all’idea di vedere un avversario politico marcire dietro le sbarre, i leader centristi e della destra repubblicana (ma non solo) denunciano un attentato al diritto di difesa e un uso spregiudicato della carcerazione: l’esecuzione provvisoria che priverà della libertà l’ex capo dello Stato equivarrebbe a negargli di fatto la presunzione d’innocenza: «Se si adotta questo principio a cosa serve ricorrere in appello?», si chiede l’ex premier François Bayrou.
Con i dovuti distinguo anche Marine Le Pen ha criticato i giudici e la generalizzazione dell’esecuzione provvisoria; per lo stesso motivo la leader del Rassemblement National è stata dichiarata ineleggibile fino al processo d’appello perché riconosciuta colpevole in primo grado di aver utilizzato fondi europei per il suo partito. Poiché i tempi dell’appello rischiano di dilatarsi oltre la primavera del 2027, la candidata favorita per le prossime presidenziali verrebbe esclusa de jure dalla corsa all’Eliseo.
Nel processo sui fondi libici il punto che più ha sorpreso riguarda la natura stessa della condanna. Il tribunale non ha seguito la Procura nazionale finanziaria, che evocava di un vero e proprio “patto di corruzione” tra Parigi e Tripoli. Sarkozy è stato assolto dalle accuse di corruzione passiva, finanziamento illegale e riciclaggio di denaro per finanziare la vittoriosa campagna presidenziale del 2007, ma lo hanno comunque riconosciuto colpevole di «associazione a delinquere» finalizzata a commettere un reato. Come se i “malfattori” avessero cospirato senza che fosse possibile dimostrare il passaggio all’azione e quindi il reato stesso. Inoltre l’inchiesta giornalistica realizzata da Mediapart alla base del processo è stata definita un falso, probabilmente di fabbricazione libica, dal tribunale parigino.
Un reato, quello di associazione a delinquere, che da decenni divide in Francia giuristi e avvocati. Introdotto nel codice penale napoleonico del 1810, abolito da Mitterrand nel 1983 perché giudicato “liberticida” e poi reintrodotto da Chirac nel 1986, è stato progressivamente esteso dai successivi governi. Strumento utile nella lotta a terrorismo e criminalità organizzata, dicono i magistrati; fattispecie troppo vaga e a maglie larghe, che rischia di colpire anche gli innocenti e in ogni caso sproporzionato per i reati dei colletti bianchi ribattono i penalisti.
In quadro probatorio fatto più di intenzioni e frequentazioni che di prove materiali, sembrano legittimi i dubbi sulla solidità dell’impianto accusatorio e sulla serenità dei giudici, tanto più che la decisione di mandare l’ex presidente in cella è del tutto discrezionale.
Non è la prima volta che la giustizia francese modifica radicalmente il quadro politico. François Fillon, candidato gollista dato per favorito alle presidenziali del 2017, fu travolto da un’inchiesta lampo sul cosiddetto “Penelopegate”: l’accusa di aver assunto fittiziamente la moglie come assistente parlamentare demolì in poche settimane la sua campagna e da favoritissimo arrivò al quarto posto la sera del primo turno.
Seppure per motivi diversi ancora più clamoroso il caso di Dominique Strauss-Kahn: dirigente del Partito socialista, direttore del Fondo monetario internazionale e grande favorito per la corsa all’Eliseo del 2012, DSK vide la sua carriera politica annientata nel giro di poche ore dall’arresto a New York per aggressione sessuale. L’accusa principale cadde rapidamente, come sono cadute le altre due inchieste lanciate procure francesi per presunto sfruttamento della prostituzione ma la possibilità di candidarsi all’Eliseo era già stata definitivamente compromessa.
Molti giuristi denunciano da oltre un decennio il tribunale mediatico permanente che si sovrappone e, in alcuni casi, sopravanza le decisioni nelle aule di giustizia. Fillon, all’epoca, fu letteralmente sommerso da prime pagine e aperture di telegiornali che non lasciarono margine di difesa. Strauss-Kahn, con il caso Sofitel, conobbe lo stesso destino: il suo processo si svolse in forma preventiva negli studi televisivi e sulle copertine dei settimanali e le sentenza era già stata scritta.