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Il giornalista statunitense Kelly Duda è stato assolto dal Tribunale di Roma con formula piena dall’accusa di oltraggio ad un magistrato in udienza perché “il fatto non costituisce reato”. Le tesi difensive dell’avvocato Andrea Di Pietro, dell’ufficio di assistenza legale gratuita di “Ossigeno per l’Informazione” e Media Defence, sono state accolte dal giudice Dionisio Pantano.
La vicenda giudiziaria del reporter originario dell’Arkansas è iniziata il 4 dicembre 2017, quando, recatosi a Napoli per testimoniare in un processo sullo scandalo degli emoderivati, al termine dell’udienza criticò il pubblico ministero. Una frase pronunciata in inglese da Duda mentre cercava di avvicinarsi al Sostituto procuratore Lucio Giuliano provocò le ire di quest’ultimo, il quale chiese alla polizia giudiziaria di fermare il giornalista e farsi consegnare il suo passaporto. Il pm si spinse oltre: chiese di trattenere Kelly Duda per il comportamento assunto. Le accuse però non furono ritenute idonee per una misura così restrittiva. E comunque da quel momento ebbe inizio per Duda la sua esperienza diretta con la giustizia italiana, conclusasi con l’assoluzione del Tribunale di Roma del 22 dicembre.
Kelly Duda ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale lo scandalo del sangue infetto utilizzato per produrre emoderivati. Il suo documentario risalente al 2006, intitolato “Factor 8” (il nome non è casuale e si riferisce ad un elemento essenziale per la coagulazione del sangue), ha portato alla luce la pericolosa pratica di utilizzare il sangue dei detenuti delle carceri statunitensi, malati di epatite B, per ottenere i prodotti destinati alle persone affette da emofilia. Per molti emofiliaci il contagio è stato inevitabile, così come il calvario di lunghe e costose cure. Molti di loro sono morti e in tanti paesi, Italia compresa, si sono aperti processi per fare luce sulle modalità di produzione degli emoderivati.
Duda si è confrontato con la nostra giustizia (si veda anche l’intervista esclusiva rilasciata al Dubbio il 6 maggio 2020) ed è stato ascoltato nel 2017 davanti al Tribunale di Napoli come testimone nel processo contro Duilio Poggiolini, ex capo del dipartimento farmaceutico del ministero della Sanità, ed alcuni rappresentanti del Gruppo Marcucci. Il procedimento, che tra numerose traversie è durato ben ventitré anni, si è concluso con l’assoluzione di Poggiolini e di nove dirigenti e tecnici del gruppo farmaceutico Marcucci, tutti accusati di omicidio colposo plurimo per via delle morti che sarebbero state causate da trasfusioni di sangue infetto su cui né le case farmaceutiche né il ministero competente avrebbero vigilato a sufficienza.
Nel documentario realizzato da Duda fu intervistato il medico Francis Henderson, impegnato nella raccolta di sangue in un penitenziario dell’Arkansas, che nel 1982 si recò in Italia per sensibilizzare alcuni imprenditori del settore degli emoderivati sulla necessità di richiamare i prodotti con sangue di cittadini americani. Le inchieste del giornalista americano hanno permesso di accendere negli anni scorsi i riflettori su uno scandalo tenuto nascosto per troppo tempo da alcune aziende farmaceutiche.
Le difficoltà incontrate durante le riprese del documentario sullo scandalo del sangue infetto non sono state poche. Duda è originario di Little Rock, nell’Arkansas, e ha fatto i conti, da un lato, con l’ostilità delle aziende farmaceutiche tirate in ballo e, dall’altro, con una indifferenza costruita a tavolino per ostacolare la diffusione delle notizie. Una campagna stampa, a tratti esplicitamente ostile e a tratti sussurrata, contro il suo lavoro. Ma non solo questo. Kelly Duda ha subito controlli personali, pedinamenti, atti intimidatori. La sua casa è stata distrutta. Negli Stati Uniti non ci sono state condanne penali per i responsabili della diffusione di farmaci prodotti con sangue infetto. Si sono avuti, invece, molti procedimenti in ambito civile conclusisi con successo per i contagiati e con una serie di risarcimenti danni.
In merito alla sentenza del Tribunale di Roma di pochi giorni fa, l’avvocato Andrea Di Pietro sottolinea alcuni elementi della vicenda giudiziaria.
«Dopo un processo del genere – dice -, con un esito così positivo, non posso che esprimere la mia piena soddisfazione professionale e gioia per il mio assistito Kelly Duda, che in questi anni ha patito non poco il peso di questa accusa di oltraggio. Non era semplice per lui confrontarsi con una cultura giuridica molto diversa da quella del suo paese. Voglio anche esprimere la mia stima per il Giudice, il dottor Pantano del Tribunale di Roma, per aver deciso con equidistanza, senza farsi condizionare minimamente dalle comprensibili ragioni di colleganza con la persona offesa, anche lui magistrato».
Kelly Duda esprime parole di ringraziamento per il suo difensore e mette in guardia rispetto a certi tentativi di imbavagliare i giornalisti. «Con la sentenza del Tribunale di Roma – commenta - è fallito l'abuso del sistema giudiziario per attaccare la libertà di espressione. Grazie al mio team legale di Ossigeno per l'informazione e al meraviglioso lavoro del mio avvocato, Andrea Di Pietro, sono stato dichiarato non colpevole rispetto a tutte le accuse. Vorrei anche ringraziare Media Defense e Free Press Unlimited. Senza l'aiuto di queste importanti organizzazioni per i diritti dei giornalisti, non so cosa mi sarebbe successo. Inizialmente, ho dovuto affrontare due processi penali. Rischiavo una condanna a tre anni di carcere per reati che non ho commesso. La sentenza è stata giusta e sono grato al giudice per la sua decisione». Il reporter riflette pure sulle difficoltà che affrontano ogni giorno gli operatori dell’informazione. «Oggi – evidenzia -, in tutto il mondo, i giornalisti sono sempre più sotto attacco solo perché fanno il loro lavoro. In questo momento, 21 giornalisti italiani sono sotto sorveglianza 24 ore su 24, perché minacciati di morte. Nel mio caso, un articolo del Codice penale, il 343 (Oltraggio a un magistrato in udienza, ndr), è stato usato contro di me nel tentativo di impedirmi di parlare. La mia esperienza mi consente di esortare il legislatore italiano a rivedere alcune cose del Codice penale. Li esorto anche a depenalizzare la diffamazione. L'uso disinvolto della diffamazione e delle Slapp (Strategic lawsuit against public participation, ndr), per mettere a tacere le voci critiche e sottoporre a controllo anche la stampa, sono una minaccia diretta alla libertà e alla giustizia per tutti. Non ci può essere libertà senza libertà di stampa e libertà di parola».