Kelly Duda è il giornalista e documentarista statunitense che ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale lo scandalo del sangue infetto utilizzato per produrre emoderivati.

Il documentario realizzato da Duda nel 2006 Factor 8 (nome non casuale, riferito a un elemento essenziale per la coagulazione del sangue) ha portato alla luce la pratica sconsiderata di utilizzare il sangue di detenuti nelle carceri statunitensi, malati di epatite B, per i prodotti destinati agli emofiliaci.

Per questi ultimi inevitabile il calvario del contagio. Molti di loro sono morti e in tanti Paesi, Italia compresa, si sono aperti processi per fare giustizia.

Proprio in Italia, Duda – che ha rilasciato in esclusiva al Dubbio questa intervista – è stato ascoltato a Napoli come testimone nel processo contro Duilio Poggiolini, ex capo del dipartimento farmaceutico del ministero della Sanità, e alcuni rappresentanti del Gruppo Marcucci, accusati di omicidio colposo.

Il processo si è concluso nel marzo dello scorso anno con l’assoluzione per tutti. Duda è stato ascoltato nel 2017. Nel suo documentario intervistò un medico, Francis Henderson, impegnato nella raccolta di sangue in un penitenziario dell’Arkansas, che nel 1982 si recò in Italia per sensibilizzare alcuni imprenditori del settore degli emoderivati sulla necessità di richiamare i prodotti con sangue di cittadini americani. La presenza di Kelly Duda in tribunale è avvenuta non senza strascichi.

Il giornalista da testimone è adesso imputato: al termine dell’udienza a Napoli criticò la condotta del pubblico ministero nella gestione della sua testimonianza. Circostanza che gli è costata l’imputazione per oltraggio. Ora dovrà affrontare a Roma un processo e per questo si è affidato alla difesa dell’avvocato Andrea Di Pietro.

Mr. Duda, la sua inchiesta giornalistica ha contribuito anche in Italia a fare chiarezza sullo scandalo del sangue infetto?

Da voi molte persone stanno ancora soffrendo e muoiono per la diffusione di prodotti a base di sangue infetto con provenienza ad alto rischio, come quella dei detenuti americani. Sono venuto in tribunale a Napoli, negli anni scorsi, per condividere le prove raccolte nell’ambito delle mie inchieste giornalistiche, indicando il collegamento tra il sangue proveniente dalla “Cummins Prison Farm”, che faceva parte dei richiami finiti nel vuoto della Fda (Food and Drug Administration, ente governativo statunitense che regolamenta i prodotti alimentari e farmaceutici, ndr) negli anni Ottanta, e l’Italia.

Com’è stata la sua esperienza con la giustizia italiana?

Posso solo commentare la mia partecipazione il giorno in cui ho testimoniato in Tribunale a Napoli. Sono rimasto negativamente sorpreso dall’atteggiamento del procuratore in aula quel giorno. Non ho compreso per quale ragione si volesse opporre alla mia testimonianza. L’ostruzionismo dei difensori degli imputati lo capisco perfettamente, in fondo ero lì per dare un sostegno all’accusa e ai difensori delle vittime, ma l’atteggiamento del procuratore ancora oggi non riesco a comprenderlo.

Dopo molti anni lo scandalo degli emoderivati continua ad avere risonanza in Italia così come negli Stati Uniti. C’è ancora molto da scoprire?

Assolutamente. Molta verità deve ancora venire alla luce. Questo è il motivo per cui il Regno Unito sta tuttora conducendo un’indagine pubblica sullo scandalo del sangue contaminato. Nell’ultimo anno ho lavorato con le autorità del Regno Unito e posso considerarmi soddisfatto per il supporto fornito.

Le sue inchieste hanno acceso i riflettori su uno scandalo tenuto nascosto da alcune compagnie farmaceutiche americane. Quali difficoltà ha incontrato?

Nello Stato in cui sono nato, l’Arkansas, ho dovuto fare i conti con non pochi contraccolpi. Oltre a dover sopportare una campagna stampa, seppur sussurrata, contro di me, ho subito altro. Sono stato pedinato, hanno tagliato le gomme della mia auto. E tra le altre cose la mia casa è stata distrutta.

Negli Stati Uniti ci sono state condanne per chi ha diffuso farmaci prodotti con sangue infetto?

Per quanto ne sappia, nessun singolo dipendente di una società farmaceutica americana o funzionario del governo ha mai affrontato un processo penale per le infezioni da sangue contaminato che si sono diffuse negli anni Ottanta e Novanta del scorso secolo. Tuttavia, ci sono stati molti procedimenti in ambito civile che si sono conclusi con successo per i contagiati. Mi consenta però di fare una riflessione sul ruolo degli avvocati a difesa del giornalismo indipendente.

Dica pure.

Vorrei ringraziare pubblicamente il mio avvocato, Andrea Di Pietro, e Ossigeno per l’Informazione  per il sostegno nell’affrontare il mio caso, da testimone a imputato. Ringrazio anche Media legal defence initiative con sede a Londra. Collabora con Ossigeno e altre organizzazioni in tutto il mondo per fornire assistenza legale ai giornalisti e ai media indipendenti. Inoltre, un ringraziamento speciale va pure a Free Press Unlimited (FPU), che collabora con Media legal defence initiative, e ha preso a cuore la mia vicenda. Ho viaggiato molto in Italia e non ho avuto remore a testimoniare in Tribunale. Sono venuto a Napoli per dare un contributo alla giustizia italiana nel processo sugli emoderivati e ora mi ritrovo in una situazione paradossale. La mia unica missione è stata quella di aiutare chi anche da voi è rimasto vittima dello scandalo del sangue infetto.