PHOTO
Spigarelli Valerio
Mancata “riforma epocale della giustizia” targata Berlusconi: ne parliamo con Valerio Spigarelli, già presidente dell’Unione camere penali che, tra l’altro, replica alla nostra intervista di ieri a Gaetano Pecorella.
Perché Berlusconi non è riuscito a fare la sua “riforma epocale della giustizia”?
Direi perché nei momenti fondamentali non ha dimostrato la volontà politica di farla.
Cosa avvenne nel 2000, con il referendum Partito Radicale-Unione camere penali sulla separazione delle carriere?
Le proiezioni erano ampiamente favorevoli alla nostra vittoria referendaria, che avrebbe dato una enorme forza politica per la riforma costituzionale da fare in seguito in Parlamento. Lui però disse a tutti di andare al mare.
Pecorella sostiene che era difficile spiegare alla gente per quali quesiti votare sì e per quali no.
La storia dei referendum ci insegna che si può vincere su alcuni quesiti e perdere su altri. Nonostante l’invito ad andare al mare 10 milioni di italiani votarono per la separazione delle carriere perché il quesito era facilmente comprensibile. Senza l’indicazione di Berlusconi avremmo vinto.
E allora perché Berlusconi fece quella mossa?
La spiegazione più logica è che essendo quel tema particolarmente inviso alla magistratura, evidentemente in quel momento ha preferito sacrificare questa battaglia e coltivare qualche altra cosa. Questo si ricollega ad un tema più generale: Berlusconi poi ha fatto molte leggi - al di là del fatto che gliele criminalizzavano tutte, anche quelle sacrosante - che avevano una diretta incidenza sulle vicende giudiziarie che lo riguardavano.
Per Pecorella è stata colpa dei suoi alleati.
Potrebbe essere anche questa una spiegazione: Lega e soprattutto Fini cercavano di accaparrarsi quella fetta di opinione pubblica che aveva eletto la magistratura a stella polare della politica. E c’era competizione da questo punto di vista. Ma come li aveva convinti a fare la legge Cirami e quella Pecorella li avrebbe potuti convincere anche a fare altro.
Ma perché l’ammiccamento alle toghe?
Il potere giudiziario in Italia conta, meglio «non scontrarsi troppo, non si sa cosa può accadere», diceva Cossiga, pure Fini anni dopo se n'è reso conto.
Comunque, sta di fatto che gli consegnaste la toga rossa. Come andò?
L’idea nacque prima del voto referendario. Fu una iniziativa del direttivo della Camera penale di Roma. Cominciammo a mandare un telegramma al giorno a Berlusconi e ad altri personaggi apicali di FI scrivendo: «È passato un altro giorno e non vi vediamo impegnati nella battaglia referendaria». Pecorella, che era uno dei destinatari, fece dichiarazioni pubbliche a favore del referendum ma Berlusconi decise come si è detto. Allora istituimmo il concorso “Toga rossa”, termine usato da Berlusconi contro i magistrati, lo dichiarammo vincitore e gliela portammo in via del Plebiscito dove ci ricevette un imbarazzatissimo Bonaiuti che se la prese. Questo fu il segnale di una avvocatura penale molto determinata su quel terreno, che rimproverò al politico, che predicava bene ma razzolava male, non solo di non averci aiutato ma addirittura di averci sabotato. Parole tante, atti concreti pochi. Del resto, sulla politica giudiziaria, abbiamo sempre specificato che gli slogan di Berlusconi erano controproducenti. Con Ettore Randazzo dicemmo parole che finirono su tutti i giornali: «La separazione delle carriere non è una clava da dare in testa alla magistratura» e «Berlusconi parli da premier e non da imputato».
Comunque, Berlusconi in quattro governi ebbe altre occasioni, che fallirono.
Certo, avvenne pure all’epoca della cosiddetta “riforma Castelli”, venduta come se fosse la separazione delle carriere. Ma non era affatto così, tanto è vero che è in vigore e non è cambiato nulla. Con alcuni costituzionalisti elaborammo una proposta che interessava anche il Csm, senza intaccarne la struttura costituzionale, ma anche quella rimase nel cassetto.
Perché?
Perché in quel momento facevano trattative sindacali al ribasso con Anm. Nitto Palma, prendendosela con i magistrati, disse: «Perché vi lamentate visto che abbiamo accolto il 90 per cento delle vostre richieste?». Puntavano alla pace giudiziaria invece l’Anm incassò e le Procure continuarono come prima.
Poi cosa accadde?
Nel terzo Governo Berlusconi avevano 100 voti di maggioranza alla Camera e avrebbero potuto portare a casa la riforma. Ma preferirono fare altre leggi che avrebbero dovuto garantire l’immunità. Nel 2010, il Ministro della Giustizia Alfano fu convinto, anche dall’Ucpi - io ero presidente allora - a presentare, chiavi in mano, con qualche aggiustamento, una proposta di riforma costituzionale elaborata dall’Unione. Si aprì un dibattito alla Bicamerale interessante. Intervenne anche il Procuratore generale di Cassazione, fratello di quell’Esposito che poi condannò Berlusconi, che disse che era d’accordo con la separazione delle carriere. Crollò però poco dopo il governo. Noi ci lamentammo del fatto che Berlusconi, che pure aveva i numeri per fare la riforma costituzionale, aveva scelto ancora una volta di fare altro. In quel periodo il presidente della Repubblica era Giorgio Napolitano che aveva più volte parlato della necessità di riforme strutturali e quindi non le avrebbe avversate. Anche perché dello squilibrio nei rapporti tra poteri se ne stava rendendo ben conto con l’inchiesta Trattativa. Era quindi una copertura per andare avanti. Ma poi c’ è altro.
Cosa?
Sul piano del diritto sostanziale, alcune delle leggi fatte dai suoi governi sono in antitesi con l’idea del diritto penale liberale. Leggi reattive rispetto ai fatti di cronaca, innalzamenti strepitosi di pene, stabilizzazione e centralizzazione del 41 bis, introduzione di ipotesi di custodia cautelare obbligatoria poi bocciate dalla Consulta; il tutto per dare messaggi securitari all’opinione pubblica in contraddizione con i dati criminologici. Anche lui, sul piano del diritto penale simbolico e demagogico, ha dato il suo, e i penalisti gliel’hanno sempre contestato. Nel mitico dibattito da Santoro tra Travaglio e Berlusconi, lui rivendicò tutto questo. Peraltro, il populismo giudiziario nacque anche dalle trasmissioni Mediaset ai tempi di mani Pulite, e continua tuttora.
Pecorella però sostiene che alcune di quelle leggi non portano il nome di Berlusconi.
In un governo a guida mia tutte le leggi sono le mie, anche se le firma un mio alleato. E poi, se faccio un compromesso politico, evidentemente sacrifico quello che ritengo meno importante. Insomma, l’idea di Berlusconi come icona dell’idea liberale del diritto mi sembra eccessiva. Mi convince di più che sia stato emblema e vittima dello squilibrio tra il potere giudiziario e la politica nato da Tangentopoli, che poteva essere eliminato proprio facendo le riforme che non ha fatto e non le leggi ad personam che indubbiamente ci furono.