Temevamo che Mario Draghi, suo malgrado, fosse arrivato a seppellire definitivamente la politica e che quella chiamata del Colle fosse l’atto finale di una classe dirigente morente, incapace di prendersi sulle spalle il destino di un Paese fiaccato da una pandemia senza precedenti e impoverito dalla crisi economica più grave dal dopoguerra a oggi.

E invece non è andata così. Mario Draghi ha parlato di politica e da politico. Con le sue parole ci ha fatto vedere l’Italia dei prossimi dieci anni, una cosa che non accadeva da molto tempo, dal giorno in cui la politica ha perso ogni capacità di immaginare il futuro.

Ha assestato un paio di colpi - colpi mortali - ai sovranisti di casa nostra e ha riportato il nostro Paese in Europa, senza dubbi, senza ombre né ambiguità: «Fuori dall’Europa c’è meno Italia ha detto - non c’è sovranità nella solitudine» ; ed è volato alto quando ha ricordato che «il tempo del potere può essere sprecato se si pensa solo a conservarlo». È stato asciutto, sobrio, puntuale. Ma il suo non è stato il discorso di un tecnico. Semmai ha riallacciato il filo spezzato che legava la politica con le competenze. Sapevamo che Draghi fosse quanto di meglio l’Italia in questo momento potesse sperare ma temevamo che la sua salita a Palazzo Chigi fosse il de profundis per la politica del consenso. Non è stato così. Draghi ha mostrato di sapere che anche lui dovrà rendere conto ai cittadini, magari senza affacciarsi dal balcone a caccia di facili ed effimeri consensi. Siamo certi che farà tutto il possibile per salvare l’Italia e siamo certi che sarà abbastanza ( Whatever it takes. And believe me, it will be enough). Benvenuto Mister Draghi...