«La mia vita è finita, nessuno mi crede. Mi sento abbandonata, sola. Non ho più voglia di vivere». Alessia Pifferi vuole lasciarsi morire così come sua figlia Diana, la piccola di 18 mesi morta di stenti per essere stata lasciata sola in casa dalla madre per sei giorni.

Una fine tremenda, la sua, per la quale la donna è stata condannata pochi giorni fa all’ergastolo: per i giudici, infatti, Pifferi è capace d’intendere e di volere. Una tesi che la difesa, rappresentata dall’avvocato Alessia Pontenani, non condivide affatto, rilanciando, in vista del futuro appello, la diagnosi che la vuole affetta da un deficit cognitivo. Da 24 ore Pifferi ha iniziato lo sciopero della fame, mettendo in atto il proposito comunicato a Pontenani già all’indomani della sentenza: «Voglio spegnermi come la mia bambina», aveva affermato.

«Mi ha detto che ha firmato un foglio per lo sciopero della fame – ha spiegato l’avvocato a Repubblica – piange in continuazione. Sta scrivendo una lettera alla madre, che ancora non ha spedito. Dice che ha ricevuto molta solidarietà dalle altre detenute, almeno quelle che la tollerano. Adesso le hanno cambiato anche compagna di cella, sta con un’altra signora. Ma dice che non ha più voglia di vivere».

Per conoscere le ragioni della condanna toccherà attendere 90 giorni. Intanto, quel che è certo è che i giudici della Corte d’Assise di Milano hanno escluso la premeditazione. Per il pm Francesco De Tommasi, Pifferi non meritava alcun beneficio «soprattutto perché ha mentito sulla vita di sua figlia, l’ha tradita quando l’ha lasciata sola, l’ha tradita in questo processo, quando non ha avuto il coraggio di assumersi le sue responsabilità. Diana guarderebbe la madre e implorerebbe il suo perdono perché i bambini sono così. Alessia Pifferi è stata descritta come una vittima sulla base di considerazioni che muovono da un presupposto: è affetta da deficit mentali - ha detto nel corso della requisitoria -. Non ha alcun deficit mentale, non c’è alcun dubbio, alcun documento di prova. Pifferi si è inventata una storia per scrollarsi di dosso le responsabilità e poter dire: “Non è colpa mia”». Completamente diversa la versione di Pontenani, secondo cui «è evidente che non volesse uccidere la bambina».

La legale ha annunciato che in appello verrà chiesta una nuova perizia, affermando che il processo è stato condizionato dalla nuova indagine che la vede coinvolta assieme alle psicologhe del carcere di San Vittore, accusate di falso e favoreggiamento per aver messo nero su bianco che il Qi della donna è pari a 40, ovvero quello di una bambina di 7 anni. «Se non ci fosse stata l’inchiesta parallela - ha spiegato dopo la pronuncia della sentenza -, forse la perizia avrebbe dato un esito diverso. Non è stato un processo sereno». Pontenani avrebbe però recuperato nuovi documenti sulle condizioni di salute di Pifferi, ovvero cinque cartelle sulla cui base l’avvocato chiederà una nuova perizia psichiatrica, così come aveva fatto poco prima della chiusura dell’istruttoria dibattimentale in primo grado, quando aveva depositato i documenti relativi al percorso scolastico di Pifferi, caratterizzato dalla necessità di un sostegno.

Se Pifferi è stata oggetto di insulti e di aggressioni in carcere, Pontenani è stata invece oggetto di minacce (anche di morte) e insulti telefonici e online, perpetrati da chi le ha contestato di aver osato difendere un «mostro». Insulti arrivati, ha spiegato intervenendo a Cusano Italia Tv, anche da parte di alcuni colleghi. L’avvocato ha pubblicato sui propri social uno dei tanti messaggi di odio ricevuti, in cui una donna - forse la meno aggressiva - la invitava a «farsi schifo». E poche ore dopo ha spiegato di aver parlato con una delle sue hater, appena 17enne, che addirittura l’avrebbe minacciata di morte, salvo poi scusarsi.

«C’è anche da dire che nel momento in cui un pubblico ministero dice che la pena deve essere sofferenza, allora forse dovremmo rivalutare un po’ tutto quanto, perché io invece ritengo sempre che la pena debba essere rieducativa, così come previsto dalla nostra Costituzione - ha dichiarato ancora Pontenani -. Quando sento dire certe cose rabbrividisco perché qui mi sembra che stiamo facendo veramente un preoccupante passo indietro. Ci fosse stato il rogo pubblico in piazza la Pifferi l’avrebbero bruciata in piazza, e questo a me fa paura».