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Omamma: e adesso? Compulsando le cronache da Cernobbio, amena località in riva al lago di Como dove annualmente il Gotha imprenditoriale italiano si assiepa, un solo grido di dolore erompe dai petti: aiuto, mi si sono ristretti i populisti. Anzi, altro che ristretti: semplicemente spariti. Così, infatti, da un giorno all’altro, succede che i campioni di un fenomeno che sembrava avesse espugnato il cuore ( e la pancia) degli italiani Santo Graal capace di trasformare in inafferrabile purosangue lanciato verso il potere perfino il più imbolsito dei ronzini - annunciano la resa. «Non siamo populisti», fanno sapere all’unisono Luigi Di Maio, candidato premier non ufficiale dei Cinquestelle, e Matteo Salvini, ufficiale competitor di Silvio nella campaign raceverso palazzo Chigi che è cominciata e finirà nel 2018.
Appunto: e ora che si fa? Secondo logica, bisogna per prima cosa avvertire quelli che ancora non lo sanno. O non lo hanno capito.
Per esempio gli elettori dei due partiti, sciaguratamente cullati nelle certezze che furono. A partire dal numero uno dei grillini, il Garante del MoVimento, quel Beppe Grillo che era abituato a chiudere i suoi comizi rivolgendosi con smorfioso scherno alle telecamere dei Tg gridando: «Populistiiii!». Ben sapendo che rimpiazzare quell’urlo di guerra con l’altro appena coniato da Di Maio. «Smartistiiii!» non produce lo stesso risultato. Poco male: Grillo è uomo di palcoscenico e s’inventerà qualcosa. In alternativa può sempre chiedere aiuto ai levigati algoritmi di Casaleggio jr. Quanto a Salvini, nessun problema: è noto che i tanti che si riunivano sul pratone di Pontida indossando gli elmi con le corna tutto erano tranne che populisti: al massimo prosecutori delle gesta del Longobardi. Un po’ come i centurioni farlocchi che a Roma stazionano davanti al Colosseo per gli immancabili selfie con i turisti.
Poi, proseguendo, sarebbe d’uopo scuotere gli avversari. A cominciare da Matteo Renzi che da dopo il referendum aveva elaborato una sottile quanto fondamentale strategia politico- comunicativa proprio sul quel punto basata: ossia il Pd unico argine contro il populismo di leghisti e grillini. Squassato dal terremoto grillino- leghista, come riparare? Urge Leopolda ad hoc cui magari invitare Angelino Alfano come guest star. Per non parlare di Berlusconi. Il vecchio e saggio ex Cav aveva costruito il suo ritorno al centro dell’agone politico puntando a diventare il baluardo moderato per frenare gli eccessi di Matteo, alleato senz’altro infido e soprattutto ingeneroso. Beh, cambiare all’improvviso le carte in tavola non si fa: non è carino confondere gli ottantenni.
Ok, adesso però basta con il sarcasmo: com’è noto, infatti, il gioco è bello solo se dura poco. E poi se è certo che non è sufficiente il discorsetto ad un convegno e qualche dichiarazione ai Tg per cambiare la percezione che i cittadini hanno di un partito, è altrettanto sicuro che l’uscita del duo Di Maio- Salvini risulta tutt’altro che estemporanea o casuale. Fanno così per accreditarsi come forza di governo, è la spiegazione più gettonata. Senz’altro.
Ma a parte che già il fatto che entrambi siano percepiti come possibili premier testimonia del vento che tira nel Paese, tanta resipiscenza non ha il medesimo effetto per l’uno e per l’altro. Nel contenitore di centrodestra improvvisamente - vero o falso che sia tornato maggioritario Salvini rappresenta la parte più dinamica. Logico che chi guida le imprese ( ma non solo loro) sia desideroso di misurarne la stoffa e le ambizioni. Ben sapendo che in caso di vittoria elettorale al Matteo 2 sarà necessario rivolgersi perché Salvini è l’uomo che agli occhi di molti appare il più adeguato a drenare in libera uscita consensi dai Cinquestelle, rovesciando lo schema che fin qui a destra è andato per la maggiore. Per quel che riguarda Di Maio, al contrario, il nodo è un altro e si chiama trasversalismo.
Come è evidente da tempo, la forza dei Cinquestelle risiede nel fatto che pescano voti sia a destra che a sinistra: hanno funzionato e funzionano in un riflesso “contro” che tuttavia va in tilt nel momento in cui, arrivati al potere, è necessario prendere decisioni e inevitabilmente si finisce con lo scontentare una parte della propria costituency. Il problema, dunque, non riguarda il vicepresidente della Camera in quanto tale: riguarda il Movimento tout court. Chiunque sarà il candidato premier dei grillini avrà il medesimo problema da affontare. Con il rischio che risulti irrisolvibile.
Poi, appunto, ci sono gli altri. Berlusconi farà di tutto per stabilizzare a proprio favore la leadership ma è zavorrato dal fatto che non possiede una strategia valida nel confronto con la Lega salviniana: oscilla tra impennate autonomistiche e costrittive subalternità. Il nervo più scoperto, in quanto rappresenta un polo a sè e il competitor numero uno, è quello del Pd e di Renzi. Se è vero che l’ex premier volutamente gioca a schiacciare Silvio su Matteo convinto in questo modo di calamitare meglio i voti moderati del centrodestra, con la sua mossa Salvini rischia di tagliargli l’erba sotto i piedi: se cade il totem del populismo, infatti, i consensi moderati potrebbero restare dove sono, senza grande fatica. E del resto se davvero Renzi vuole ammantarsi dell’usbergo di unico e solo scudo al populismo, mal si comprendono certi suoi ammiccamenti dei mesi scorsi e di adesso: dal taglio delle poltrone come asset privilegiato nello scontro referendario all’abolizione dei vitalizi contro cui alla fine si è schierato perfino il capogruppo al Senato, Luigi Zanda, accusando la legge di incostituzionalità.
Per ultimo c’è anche un gioco tanto machiavellico quanto, per alcuni, inconsistente. Quello cioè per cui l’abbandono del populismo sarebbe nient’altro che l’uovo di Colombo per giustificare, una volta chiuso lo scontro elettorale magari senza vincitori acclarati, una possibile alleanza di governo tra Cinquestelle e Carroccio. Fondato o meno che sia, si tratta comunque di un orizzonte che più passano i giorni più si dimostra oneroso per il centrodestra e politicamente assai poco redditizio. In caso di risultato elettorale deludente, infatti, sia che Berlusconi si rivolga a Renzi sia che Salvini vellichi i Cinquestelle, si tratterebbe in ogni caso di intese siglate non nella veste di protagonisti bensì a rimorchio.