PHOTO
Cosimo Maria Ferri in Parlamento (LaPresse)
«Escluso l’addebito». Con questa motivazione la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha assolto Cosimo Ferri nel procedimento che era stato aperto a suo carico per avere accompagnato a casa di Silvio Berlusconi, tra la fine del 2013 e i primi mesi del 2014, quando era magistrato in aspettativa e sottosegretario alla Giustizia, il giudice relatore del processo Mediaset, Amedeo Franco, componente della Sezione feriale della Corte di Cassazione che il 1 agosto 2013 aveva confermato la condanna per frode fiscale del leader di Forza Italia.
Dopo il rinvio dalle Sezioni Unite della Cassazione, che a settembre scorso aveva annullato la condanna della perdita di due anni di anzianità contestando l’illogicità della decisione per paragonato le condotte di Ferri a quelle di Franco, il procedimento è tornato a Palazzo dei Marescialli, dove ieri si è concluso con l’assoluzione dell’ex deputato di Pd e Italia viva.
Secondo l’accusa, Ferri avrebbe reso possibile «la condotta gravemente scorretta» del giudice Franco, secondo la procura generale «già a lui anticipata», nei confronti dei componenti del collegio che ha condannato Berlusconi, definiti da Franco «un plotone di esecuzione», costituito da «quattro ultimi arrivati» che «non capivano niente». Un comportamento, quello di Ferri, ritenuto «gravemente scorretto, in violazione dei doveri di imparzialità e correttezza» nei confronti dei giudici della Suprema Corte.
In apertura dell’udienza, però, è stata la stessa procura generale, rappresentata dal sostituto pg Pasquale Fimiani, a chiedere l’assoluzione, richiesta ovviamente condivisa dalla difesa di Ferri, rappresentato dall’avvocato Luigi Antonio Paolo Panella. «Sono venuti a mancare i due protagonisti della vicenda, Berlusconi e Franco, e non si rinviene agli atti alcun altro riferimento a persone a conoscenza dei fatti alcuna altra prova dichiarativa che possa essere assunta in questa sede - ha spiegato il pg -. La rivalutazione non può che essere compiuta sulla base degli stessi fatti che la Cassazione ha analizzato. Prendendo atto della decisione della Cassazione e del fatto che non ci sono più gli altri due protagonisti della vicenda né altri spunti investigativi da compiere, si deve concludere con una richiesta di assoluzione per essere rimasto escluso l’addebito». Richiesta che il collegio della sezione disciplinare del Csm, presieduto dal vicepresidente, Fabio Pinelli, ha accolto dopo circa un’ora di camera di consiglio.
Secondo i magistrati di Palazzo Cavour, che avevano annullato la sanzione inflitta precedentemente, «la Sezione disciplinare ha fatto scaturire la conclusione cui è giunta “da una lettura unitaria e complessiva dei fatti”» che per sua stessa ammissione, se presi «singolarmente e fuori contesto potrebbero anche apparire in parte ininfluenti», «implausibili o comunque del tutto irrazionali», eludendo, in tal modo, «l’assenza di puntuali riscontri dei fatti ascritti all’incolpato, fornendo una motivazione contraddittoria e illogica». E ciò, in particolare, «per avere impropriamente connesso alla eventuale e intima condivisione di idee e affermazioni altrui rilevanza causale nella realizzazione di un illecito ascrivibile ad altra persona».
Secondo i giudici della Cassazione, infatti, non c’era prova che Ferri fosse consapevole dell’intenzione di Franco di denigrare gli altri magistrati del collegio. La registrazione denominata “prima conversazione” - che testimoniava l’incontro tra Franco e Berlusconi e durante la quale Ferri sarebbe rimasto in silenzio, limitandosi a poche e non precisate parole - sarebbe stata inoltre manipolata: «Il file è stato generato in un momento successivo rispetto al file “seconda conversazione”», e ciò perché «è stato tagliato nella parte iniziale della registrazione. Tale conclusione emerge del resto anche dalla relativa trascrizione».
Un documento «non genuino», insomma, «e, tuttavia, valutato come prova “regina” della responsabilità dell’incolpato» senza compiere il «doveroso» vaglio di attendibilità. I giudici disciplinari avevano inoltre attribuito al silenzio di Ferri nel corso della seconda conversazione il significato di «silente condivisione» delle dichiarazioni offensive di Franco ai colleghi, ragionamento giuridicamente insostenibile, secondo i giudici. E Ferri, secondo la difesa, non avrebbe nemmeno sentito le affermazioni di Franco, essendo stato assente per circa 12 minuti, come ricostruito dalla consulenza tecnica. Il Csm aveva però liquidato la questione, preferendo credere all’astratta possibilità «che ad allontanarsi dalla stanza fosse stata una quarta persona mai identificata».