Il paradosso è che se c’è una norma ultragarantista cara a Giorgia Meloni, è l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Ne ha parlato in più occasioni, la premier. E sa che con le già enormi complicazioni emerse sul Pnrr, eliminare il reato responsabile di provocare la “paura della firma” sarebbe un sollievo. Il dossier è in teoria tra quelli che vedono la presidente del Consiglio e il guardasigilli Carlo Nordio in pieno accordo. Ma nello stesso tempo, ai vertici di Palazzo Chigi, e nelle prime linee di Fratelli d’Italia, avanza un rinnovato scetticismo: si teme, innanzitutto, che le perplessità del Quirinale sulla cancellazione dell’articolo 323, relative all’incostituzionalità di possibili contrasti coi trattati internazionali, si traducano in un naufragio politico per la maggioranza. In una mancata promulgazione, con contestuale rinvio alle Camere, del ddl Nordio, nel quale l’addio all’abuso d’ufficio è inserito. In un simile catastrofico scenario, si dovrebbe fare i conti, nell’ordine, con un grave spreco di attività parlamentare, con un pesantissimo danno all’immagine di esecutivo e maggioranza e con il fallimento sull’obiettivo di “liberare” subito l’azione di Comuni e altre amministrazioni pubbliche, tutti decisivi nell’attuazione del Piano nazionale. Eppure di giorno in giorno crescono i timori riferiti tre giorni fa su queste pagine, timori che spingono il partito di maggioranza relativa ad auspicare un’exit strategy: sostituire l’abrogazione dell’articolo 323 del codice penale con una semplice modifica, magari più stringente della riforma realizzata nel 2020 dall’allora premier Giuseppe Conte.

E in vista della bagarre che, sul ddl Nordio, si scatenerà da settembre in Senato, i tormenti sull’abuso d’ufficio contagiano l’opposizione, giacché sul rebus del reato più temuto dai sindaci è diviso pure il fronte giallo-rossoverde, cioè M5S, Pd e Alleanza Verdi-Sinistra. Due giorni fa alla Camera i pentastellati sono stati i soli a votare la loro risoluzione, agganciata alle comunicazioni di Raffaele Fitto sul Pnrr, che invitava il governo a recedere dall’abrogazione dell’abuso e dalla riforma del traffico d’influenze. Sull’astensione di dem ed ecologisti ha pesato il riferimento alla spazzacorrotti contenuto nel testo dei contiani, ma anche l’impossibilità, per il partito guidato da Elly Schlein, di voltare totalmente le spalle ai propri sindaci, schieratissimi, col loro coordinatore Matteo Ricci, per la cancellazione totale dell’articolo 323. Si tratta insomma di un dossier che manda in tilt la maggioranza come l’opposizione. Che tiene in ansia Nordio ma anche Meloni. E che rischia di depotenziare la già claudicante rincorsa agli obiettivi del Pnrr.

Nordio come ne esce? Già esiste, in realtà, una carta di riserva. Messa a punto per tempo. Si tratta di una riformulazione dell’abuso d’ufficio che renderebbe punibile solo la “mancata astensione” in quei casi in cui il sindaco, l’assessore o chiunque eserciti un pubblico potere avrebbe dovuto appunto non firmare l’assegnazione di un appalto, o qualunque altro atto, in virtù di un possibile conflitto d’interessi. A via Arenula si erano portati avanti col lavoro, e avevano individuato questa soluzione alternativa, che tra l’altro riflette almeno in parte quella proposta nella scorsa legislatura dall’allora presidente della commissione Giustizia del Senato Andrea Ostellari, oggi sottosegretario leghista a via Arenula. Ai tecnici di Nordio è sembrato fin dal primo momento un ripiego, non disprezzabile ma certo assai meno efficace dell’abrogazione secca. Nelle riunioni tenute al ministero nella scorsa primavera, tutti, non solo il guardasigilli, ma anche i sottosegretari Ostellari e Delmastro, si erano convinti che una pur chirurgica delimitazione del reato avrebbe comunque prestato il fianco al solito giochino degli esposti in Procura contro sindaci e amministratori, che costringono i pm ad avviare le indagini e che innescano la paura della firma. Perciò persino chi, come il meloniano Delmastro, sembrava inizialmente più orientato a una semplice modifica del 323, si è poi convinto che le esigenze del Pnrr imponevano una scelta più radicale.

D’altra parte, si sa: la scelta non piace ai magistrati. E, va detto, anche ad alcune delle toghe arruolate nel pool di Nordio. Così, l’idea che a settembre si finisca per accontentarsi di limitare l’abuso d’ufficio ai casi di conflitto d’interesse è tutta in piedi. Spingono i magistrati, spinge il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo e tutti i suoi colleghi che, spesso con minor garbo, additano l’addio all’abuso d’ufficio come un indebolimento della lotta alla mafia. Tesi criticabilissima, perché di fatto teorizza un uso dell’articolo 323 come reato da “pesca a strascico” per intercettare eventuali più gravi delitti. Ma il link con la lotta alla mafia è fatale. Rischia di essere decisivo nelle scelte che, alla fine, sarà Giorgia Meloni a compiere, di qui a settembre. Si è già visto con il caso delle frasi “accademiche” di Nordio sul concorso esterno che, quando si tocca il tasto della lotta al crimine organizzato, la premier diventa politicamente più indifesa.

La bilancia delle previsioni, in questo momento, pende decisamente verso un dietrofront, una revisione del ddl Nordio, da cui verrebbe espunta l’abrogazione secca dell’abuso d’ufficio, con l’inserimento della norma che ne circoscrive la punibilità. Ma Nordio sa bene, e non è l’unico in maggioranza a esserne cosciente, che con un simile ripiego si rischierebbe di pagare un prezzo altissimo in termini di minor fluidità dell’azione amministrativa, e quindi di attuazione del Pnrr. Meloni è tra due fuochi, sospesa fra necessità di cogliere gli obiettivi di sistema e timore di essere bersagliata dal fronte giustizialista. Se non altro, qualora il secondo fattore dovesse prevalere, Nordio ha già pronta l’alternativa tecnico-giuridica. Consapevole del fatto che, se poi gli obiettivi del Pnrr dovessero saltare, non sarà certo lui a poterne rispondere.