Alessandro Barbano è un coraggioso. Un figura rara. Non perché il giornalismo italiano non annoveri professionisti di altrettanto elevato spessore. Ma perché pochissimi, fra i giornalisti, scelgono terreni impervi come la critica agli eccessi dell’antimafia. Così l’Unione Camere penali, che di battaglie solitarie o quanto meno impopolari se ne intende, ha deciso di assegnare a Barbano l’ormai tradizionale premio “Giornalismo e informazione giudiziaria” intitolato a Massimo Bordin, il mitico compianto conduttore di “Stampa e regime”, la rassegna stampa di Radio Radicale. Bordin era “un altro di quelli”. Un altro maestro particolarmente attratto dai terreni scoscesi. E guarda caso, gran parte di quegli spazi esplorati dallo storico direttore della radio pannelliana coincide con la materia a cui Alessandro Barbano dedica, ormai da mesi, la maggior parte delle proprie energie: il sistema dell’antimafia, appunto. Se n’è occupato in particolare con “L’inganno - Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene”, libro sconvolgente nonostante alcuni dei casi e che vi si trovano fossero riusciti a squarciare il velo dell’invisibilità. Barbano ha avuto la forza di denunciare il retroterra di oltraggi allo Stato di diritto che li accomuna con un’indignazione così bruciante, con una passione civile così assoluta, con un amore cosi incondizionato per la civiltà dei diritti, da realizzare qualcosa che forse in questo paese non si era mai visto.

Barbano verrà premiato venerdì prossimo, in occasione di un più ampio e ormai altrettanto tradizionale appuntamento delle Camere penali: l’Open Day di Rimini, un “fine settimana lungo” di dibattiti ma soprattutto di incontro fra generazioni “coniato” quando al vertice dell’Ucpi c’era Beniamino Migliucci. Com’è stato fin dal principio, l’Open day, giunto alla settima edizione, è un evento concepito soprattutto per gli avvocati più giovani, ai quali l’Unione presieduta da Gian Domenico Caiazza trasferisce i valori e gli obiettivi delle proprie battaglie. Ecco, Bordin è un campione di questa lotta civile: è stato lui per esempio ad aver voluto raccontare la giustizia con gli audio dei processi, trasmessi dalla radio di Marco Pannella in tarda serata o a notte fonda ma sempre disponibili in streaming. Soprattutto, Bordin ha condotto un’opera incessante non solo per destrutturare i demagogismi della politica giudiziaria quando ancora la “radiazione cosmica” emanata dal big bang di Mani pulite sembrava potentissima, ma soprattutto per smascherare la leggenda nera della “trattativa” Stato- mafia, e tutti i miti e gli oscurissimi presunti incroci tra politica e mafia dei quali la storia italiana sembrava infestata. Bordin si è battuto quando ancora non erano arrivate, per gli imputati della “trattativa”,

le assoluzioni in appello e in Cassazione: aveva intuito come la pretesa di processare lo Stato per un presunto accordo, per giunta “al ribasso”, con Cosa nostra fosse tutt’uno con la retorica che, sempre da Mani pulite in poi, ha derubricato la politica a vergogna e le istituzioni a impostura. Con la sua rassegna stampa (“ereditata” tra gli altri anche da Barbano, sempre guarda caso) e il suo microfono acceso nei processi, il giornalista alter ego di Pannella offriva con un ghigno sornione e inafferrabile la propria verità alternativa.

Barbano per certi aspetti ha battuto il maestro, perché è andato oltre quel sorriso caustico, quell’attesa sulla riva del fiume delle verità processuali che arrivavano lente e inesorabili. Barbano parla, scrive con il tono dell’indignazione assoluta. Stronca l’assurdo delle misure di prevenzione antimafia che il codice consente di infliggere agli assolti. Ha capito che lì è l’epitome, il punto più estremo e pericoloso di una dittatura del moralismo giudiziario, di una religione dogmatica che preclude agli “infedeli” il diritto di critica. Lui quel diritto se l’è preso lo stesso. Se n’è infischiato dei dogmi. Nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato di un convegno organizzato dalle Camere penali in Sicilia, a Capo d’Orlando, in cui si è discusso anche di misure di prevenzione e del libro di Barbano. In particolare vi abbiamo riferito della replica molto aspra che un procuratore della Repubblica, Emanuele Crescenti, ha rivolto non tanto all’opera di Barbano quanto in generale alla controinformazione sulle misure antimafia. Ne è venuta una dialettica a distanza serratissima fra il magistrato e il giornalista autore de “L’inganno”, entrambi intervistati sul Dubbio. Crescenti ha avuto modo di chiarire le proprie comunque rispettabilissime valutazioni sulle misure antimafia. Resta la sua iniziale sorpresa di fronte alla sfrontatezza di analisi come quelle di Barbano. Come chi scrive ha accennato in precedenti articoli, la severità della reazione di un magistrato di rango come Crescenti è l’inevitabile contraltare all’indignazione di Barbano. Ora, è difficile che i due mondi, cioè la magistratura e gli altri protagonisti dell’antimafia da una parte, e il giornalismo e l’avvocatura “eretici” dall’altra, possono trovare immediatamente punti di convergenza. Ma magari non si è così lontani. E se ci arriveremo, lo dovremo anche al coraggio di chi, come Barbano, è riuscito a urlare la verità quando pochissimi avevano voglia di sentirsela raccontare.