Gli interventi del numero uno della Suprema corte Pietro Curzio e del vicepresidente del Csm David Ermini: «Siamo tutti al servizio della giurisdizione nel nome del giusto processo»

La giustizia come orizzonte comune, avvocati e magistrati come parte di un’unica funzione: si racchiudono in queste affermazioni gli interventi del vicepresidente del Csm David Ermini e del primo presidente della Cassazione Pietro Curzio. Due voci autorevoli del pianeta giustizia che hanno rimarcato quanto già evidenziato dalla ministra pochi minuti prima: l’unità della giurisdizione e il dovere di leale collaborazione tra le parti, specie in un periodo di crisi come quello degli ultimi tempi. «L’ideale della giustizia - ha evidenziato Ermini - è l’orizzonte comune a magistrati e avvocati. E se è vero che le aspettative nei confronti del sistema giustizia investono in prima battuta la magistratura, è pur vero che in misura non minore coinvolgono anche la funzione dell’avvocatura, che è funzione pubblica e sociale. Delegittimare o screditare gli uni equivale a screditare e delegittimare gli altri. Indebolire l’indipendenza dei magistrati è indebolire la libertà degli avvocati e viceversa». Insomma, toghe e difensori rappresentano un corpo unico, attraversato, negli ultimi anni, da «una perdita di credibilità che ha pochi precedenti» sul versante della magistratura, e da un «disagio professionale incrudelito dalle leggi di mercato» sul fronte dell’avvocatura. Ma in quanto «servizio pubblico essenziale», la giustizia richiede «l’impegno sinergico e collaborativo di tutti gli attori della giurisdizione», ha affermato Ermini. Un impegno invocato, in primo luogo, dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, e che impone l’obbligo di mettere da parte «riserve e rivalse corporative». «Oggi - ha sottolineato il numero due del Csm - è il tempo di abbandonare i rispettivi accampamenti. Vale per gli operatori del diritto, deve valere ancor più per le forze politiche che abbiano l’interesse generale come obiettivo». L’azione riformatrice non è solo culturale, ma ovviamente anche pratica. E in termini pratici, l’obiettivo primario è «ridurre i tempi processuali», ma «in un quadro garantista e uniformato a modelli sanzionatori più rispondenti al disegno costituzionale». Non solo una richiesta dell’Europa, ma anche un impegno che risponde «a principi di civiltà giuridica e soprattutto all’urgenza di sanare e consolidare il rapporto di fiducia con i cittadini». Le riforme, ha evidenziato Ermini, hanno suscitato da più parti perplessità, ma dovranno misurarsi sul campo e attraverso l’azione sinergica degli addetti ai lavori, chiamati «a dare prova di grande responsabilità contribuendo attraverso la modernizzazione del sistema giustizia a costruire il futuro del Paese». Ed Ermini inserisce in questo quadro anche la riforma del Csm, «che deve accompagnarsi da parte della magistratura e dell’associazionismo giudiziario a una seria riflessione sul proprio ruolo e a un profondo rinnovamento culturale e morale», un passaggio obbligato. Il vicepresidente di Palazzo dei Marescialli ha messo in evidenza il peso assegnato all’avvocatura nel progetto della ministra, punto che ha suscitato non poche resistenze da parte della magistratura. Ciononostante, ha evidenziato Ermini, «la partecipazione dell’avvocatura nelle articolazioni territoriali del sistema di autogoverno, in posizione non più soltanto simbolica, andrebbe accolta con serenità e minor preoccupazione, in quanto denota l’esistenza di una stretta colleganza tra magistratura e avvocatura nell’interesse del buon funzionamento della giustizia». E ciò perché, citando Calamandrei, «giudici e legali “sono ugualmente organi della giustizia, sono servitori ugualmente fedeli dello Stato, che affida loro due momenti inseparabili della stessa funzione”». L’auspicio, dunque, è ripulire il dibattito sulla giustizia dalle «vecchie incrostazioni ideologiche per ricominciare a ragionare apertamente e senza preconcetti, ben sapendo che l’indipendenza e autonomia della magistratura sono requisito irrinunciabile dello stato di diritto e che una forte avvocatura è garanzia di libertà e democrazia».

L’essenza del diritto, ha affermato poi Curzio, deve essere un «ragionevole accomodamento». Un fine cui devono tendere i giuristi - avvocati, magistrati e docenti di diritto -, tutti formatisi «nelle medesime università, seguendo un percorso comune», ma approdati a professioni diverse che sono «collegate in modo indissolubile tra di loro». Tutte, ha evidenziato, partecipano ad un'unica funzione: «Siamo al servizio della giurisdizione e siamo in qualche modo indispensabili alla giurisdizione, che si attua mediante il giusto processo nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità innanzi ad un giudice terzo e imparziale, come dice l'articolo 111, dopo aver premesso la Costituzione, all’articolo 24, che la difesa è un diritto inviolabile». Una consapevolezza «appannata a volte in alcune decisioni» e ribadita pochi mesi fa dalle Sezioni Unite, che risolvendo un contrasto hanno ribadito che «il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo». Si tratta, ha evidenziato Curzio, di «una linea culturale» improntata «al rispetto e alla collaborazione tra giudici e avvocati difensori», che hanno «pari dignità e doveri convergenti», doveri che «sono ancora più consistenti per gli esponenti dei rispettivi vertici». Nel 2021, ha evidenziato Curzio, la Corte di Cassazione ha deciso più di 40mila cause, risultato possibile grazie alla «piena e leale collaborazione offerta dall'avvocatura nell'affrontare le difficoltà professionali e logistiche straordinarie ed inedite». Risultati che il Palazzaccio vuole consolidare, facendo «ulteriori passi avanti per ridurre i tempi, che nel civile sono ancora inaccettabili e migliorare la qualità delle sentenze, per farle diventare tutte complete, chiare, comprensibili e concise».