PESA IL TRASFORMISMO DEL PARTITO DI GRILLO: UN GIORNO SOVRANISTA L’ALTRO PROGRESSISTA

Dopo i Socialisti anche i Verdi congelano l’ingresso dei grillini nel loro Gruppo

In principio fu Nigel Farage, poi solo un gran peregrinare senza pace. Per capire i tormenti, le giravolte e le evoluzioni del Movimento 5 Stelle bisogna guardare a Strasburgo, al Parlamento europeo, dove i grillini continuano a chiedere disperatamente asilo alle grandi famiglie politiche ( l’ultima trattativa coi Verdi) ricevendo in cambio solo “respingimenti”. A lungo, del resto, i pentastellati hanno ostentato in patria e all’estero la loro natura postideologica, facendo del “né di destra, né di sinistra” un marchio di fabbrica che adesso si ritorce contro un partito costretto dal 2019 ad accamparsi senza fissa dimora nel gruppo Misto. Sembra che nessuno si fidi fino in fondo del partito di Giuseppe Conte, che in tre anni è riuscito a stare al governo con la Lega, col Pd e poi con tutti. Eppure, dopo la “svolta progressista” i grillini speravano davvero di poter essere accolti tra i Socilisti e democratici, contando sull’intercessione benevola del Partito democratico, senza il cui assenso il M5S non avrebbe alcuna speranza di successo. Ma visto che la pratica d’ammissione tra le file di “S& D” è finita in fondo a un cassetto di qualche ufficio dimenticato, ai cinquestelle non resta che continuare a bussare altrove. Alle porte dei Verdi, per esempio, dove hanno trovato già cittadinanza gli europarlamentari espulsi o fuoriusciti dal Movimento. Peccato che a sbarrare l’ingresso si piazzi l’ecologista italiano Angelo Bonelli, co- portavoce di Europa Verde, convinto che quello pentastellato sia un ambientalismo di facciata. Perché non basta rispolverare le battaglie degli albori per rifarsi una verginità politica, né collocarsi improvvisamente nel centrosinistra per far dimenticare in Europa le relazioni pericolose e spregiudicate del M5S. Persino la scoperta compostezza istituzionale di Luigi Di Maio viene guardata con sospetto all’Europarlamento. Troppo recenti le giravolte del ministro degli Esteri per passare in cavalleria. Perché la storia dei 5S a Strasburgo inizia non troppo tempo fa, nel 2014, un anno dopo il successo clamoroso alle Politiche italiane. Mentre a Roma Dibba e compagni provano ad aprire Montecitorio come una scatoletta di tonno, in Europa i loro colleghi si accomodano tra i banchi euroscettici di Efdd ( Europa della libertà e della democrazia diretta), il Gruppo guidato dal britannico Farage, leader di Ukip, il papà della Brexit. Tra i partiti alleati: l’ultradestra tedesca di Alternative für Deutschland. Solo tre anni più tardi, nel 2017, Beppe Grillo prova maldestramente a smarcarsi dagli “amici ingombranti” facendo approvare, con un blitz sul Blog, il passaggio all’Alde, Gruppo liberale ed europeista distante anni luce dalle posizioni di Efdd. Ma a giravolta approvata sul web, è il capogruppo liberale Guy Verhofstadt a fare marcia indietro: «Non ci sono sufficienti garanzie di portare avanti un’agenda comune per riformare l'Europa» col M5S. Per il comico è un doccia gelata e non gli resta che tornare con la coda fra le gambe da Farage a implorare la riammissione. È Di Maio in persona a ribadire le affinità elettive con i vecchi compagni di strada per rassicurare tutti sulla fedeltà futura del proprio partito: «Siamo contrari agli Stati Uniti d'Europa nel lungo periodo e vogliamo subito un referendum sull'euro», dice il leader di Pomigliano d’Arco. Che nel 2019, diventato nel frattempo vice premier, arriva a Parigi insieme a Di Battista per incontrare Cristophe Chalençon, uno dei leader dei gilet gialli. È lo stesso Di Maio che oggi avrebbe votato Macron, ma tre anni fa sperava di stringere un’alleanza anche con i movimenti francesi di protesta con l’obiettivo di costruire un Gruppo autonomo al Parlamento europeo egemonizzato dal M5S. Il tentativo si rivela velleitario. I grillini nelle urne non sfondano e nemmeno i potenziali partiti da coalizzare e per formare un’aggregazione autonoma a Strasburgo servono 25 eletti provenienti da almeno sette paesi diversi. Il flop costa caro: da quel momento per la formazione pentastellata inizia il Purgatorio dei “non iscritti”, il luogo dove finiscono le organizzazioni senza patria. Meno finanziamenti, meno peso politico, meno possibilità di ambire a cariche apicali: una condizione imbarazzante per la prima forza parlamentare italiana.

Ma nonostante gli sforzi e i mutamenti radicali degli ultimi tempi, a Strasburgo continuano a diffidare di una forza trasformista e ritenuta opaca nell’organizzazione interna. Così, i Verdi e i Socialiasti prendono tempo. Vogliono vedere dove si posizionerà Conte nei prossimi mesi, ora che il grillismo si appresta a vivere una ennesima, imminente, nuova fase politica. Resterà nel campo progressista o tornerà ad ammiccare ai sovranisti? Col M5S tutto è possibile. Lo sanno anche a Strasburgo.