Negli ultimi anni in varie dichiarazioni e articoli ho sempre sostenuto che il bipolarismo tanto invocato da più parti in Italia non è mai esistito, e non poteva esistere e che era soltanto una invenzione di Berlusconi nell’anno ‘ 94, illusoriamente realizzato negli anni successivi per aver determinato l’antiberlusconismo, egualmente illusorio. La complessità della società italiana non poteva essere ridotta ad una divisione schematica e ha generato ulteriori frantumazioni e personalismi che sono stati deleteri per l’Italia.

Quel che è accaduto al Senato la settimana scorsa è il risultato di questo “sfarinamento” degli approssimativi comitati elettorali al posto dei partiti e dei gruppi parlamentari, ma in ogni caso è inqualificabile e non può avere giustificazioni e soprattutto non può essere compreso da chi è dotato di un minimo di buon senso. La valutazione che possiamo dare con giudizio finanche benevole è che ci sono stati comportamenti non coerenti con il loro modo di pensare e sono stati costretti da pregiudizi o dalla subordinazione al capo di turno a negare la fiducia a un governo che continua ad avere consenso nel Parlamento e nel Paese.

Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che un “liberal” come Berlusconi, chiamato nel Ppe da un grande uomo “europeo” come Kohl, avrebbe potuto abbandonare Draghi per piccoli interessi personali; nessuno avrebbe potuto immaginare che un ex presidente del Consiglio come Conte, con false vocazioni popolari dimostrate per il passato e affiliato surrettiziamente al Movimento Cinque Stelle, potesse effettivamente far mancare la fiducia al governo e far correre pericoli seri all’Italia. La maggior parte dei senatori ha recitato una parte diversa dalle proprie idee e dalle proprie volontà.

D’altra parte non si era mai verificato che nessuno si dichiarasse responsabile della caduta del governo e dello scioglimento delle Camere pur non avendo partecipato alla votazione, il che qualifica ai minimi livelli la classe politica che rappresenta questo Paese.

Un luogo comune recita che dalle tragedie più gravi può venire fuori qualcosa di positivo, e allora nell’affrontare la campagna elettorale e nel preparare le liste è giunta l’ora di mettere insieme ( campo largo o campo stretto non ha importanza), chi ha “cultura di governo”, ( mai come questa volta è chiaro il significato di questa espressione), chi è davvero europeista per tradizione e per cultura, chi ha davvero a cuore il destino del nostro Paese. Ci sono momenti nella storia in cui ognuno è chiamato a fare un esame di coscienza e a rispondere alla propria coscienza e questo è uno di quelli, perché mai si erano verificate tutte insieme tragedie come la pandemia, la siccità, e soprattutto la guerra, con una inevitabile economia restrittiva, in cui lo Stato deve avere una sua configurazione e una sua identità. Questa scelta di campo può portare per la prima volta a un “bipolarismo” schietto e trasparente: chi sta da una parte chi sta dall’altra, chi si impegna con gli elettori in maniera non equivoca a indicare una collocazione europea e internazionale del nostro Paese e chi ritiene che il sovranismo, per quel significato equivoco che può avere, deve isolare il nostro Paese nel contesto internazionale in una sterile e impossibile autonomia o neutralità. Come nel dopo guerra negli anni 50, bisogna avere un’idea dell’Italia, del suo ruolo nel contesto internazionale che il governo Draghi stava interpretando al meglio.

Nel ’ 48 i cattolici, i laici, i liberali, e i riformisti, al di là delle inevitabili divisioni politiche, dichiaravano i contenuti e le alleanze che l’Italia doveva avere, e per converso i comunisti promettevano il miraggio sovietico all’insegna della rivoluzione proletaria e della lotta di classe.

L’interclassismo dei partiti democratici ha sconfitto quelle velleità pericolose e deleterie come la storia si è incaricata di dimostrare.

E quindi le scelte di oggi sono diverse ma eguali. Se l’equilibrio mondiale è in discussione, come è drammaticamente in discussione è necessario ricercare un nuovo assetto e il nostro Paese democratico, con una Repubblica parlamentare deve sapere in che modo i suoi rappresentanti contribuiranno a determinare quella scelta.

La campagna elettorale è questa e nessuno può sfuggire a questi interrogativi e a queste scelte di campo.

È arrivato il momento di superare il personalismo e di qualificare le liste non con nomi di fantasia di nessun significato, ma con precisi riferimenti culturali. Il popolarismo, la cultura liberale, il riformismo hanno dato contenuti alla azione politica dal dopoguerra fino alla fine del secolo scorso. Rinverdire quelle culture e riferirle alla nuova società e ai nuovi valori, e ai nuovi interessi nazionali e internazionali è il compito di chi crede che l’Italia debba recitare un ruolo fondamentale in Europa e nell’alleanza atlantica.

Queste culture vengono definite di centro perché equidistanti dagli estremi e la definizione non deve scandalizzare nessuno perché non si tratta di un ritorno al passato ma di esaltare ( mi ripeto) la “cultura del governo” e delle istituzioni che “le estreme“non possono avere. E infatti quelli che hanno votato al Senato contro il governo possono essere considerati forze estreme che preferiscono il tanto peggio al tanto meglio e non lavorano per interessi generali che sono la sostanza e il contenuto di programmi democratici, ma per quelli personali e io aggiungo falsamente personali.

L’esperienza di questa legislatura dovrebbe bastare per convincere tutti che bisogna usare un metodo diverso nelle scelte e nei programmi.

È necessario che politici, intellettuali, costituzionalisti i più autorevoli facciano questo appello e si rivolgano a tutti quelli che in questi momenti, alla vigilia delle elezioni, stanno recitando anche se sul piano personale un ruolo importante per preparare le liste.

I nomi sono noti al grande pubblico e in questi giorni sono presenti sulla stampa. Bisogna mettere insieme queste persone che rappresentano mondi diversi ma possono aggregare elettori e cittadini che aspettano da tempo un segnale politico univoco per riscoprire la politica.

Insomma nell’attuale panorama, contrariamente a quello che professa Galli Della Loggia, vi è una destra sgangherata ma pericolosa come si è rivelata al Senato e una sinistra timida che ha bisogno di chiamarsi centro sinistra per accreditarsi ma che ha mostrato cultura e rispetto delle istituzioni per un progetto Italia. “Il “centro” proprio per questo può acquistare un significato politico, autentico e in quanto tale” divenire “un formidabile valore aggiunto” come lo stesso Galli Della Loggia è costretto a riconoscere.