PHOTO
Caro Zaccagnini,ancora una volta, come qualche giorno fa m'indirizzo a te con animo profondamente commosso per la crescente drammaticità della situazione. Siamo quasi all'ora zero: mancano più secondi che minuti.Siamo al momento dell'eccidio. Naturalmente mi rivolgo a te, ma intendo parlare individualmente a tutti i componenti della Direzione (più o meno allargata) cui spettano costituzionalmente le decisioni, e che decisioni! del partito. Intendo rivolgermi ancora alla immensa folla dei militanti che per anni ed anni mi hanno ascoltato, mi hanno capito, mi hanno considerato l'accorto divinatore delle funzioni avvenire della Democrazia Cristiana. Quanti dialoghi, in anni ed anni, con la folla dei militanti. Quanti dialoghi, in anni ed anni, con gli amici della Direzione del Partito o dei Gruppi parlamentari. Anche negli ultimi difficili mesi quante volte abbiamo parlato pacatamente tra noi, tra tutti noi, chiamandoci per nome, tutti investiti di una stessa indeclinabile responsabilità. Si sapeva, senza patti di sangue, senza inopinati segreti notturni che cosa voleva ciascuno di noi nella sua responsabilità. Ora di questa vicenda, la più grande e gravida di conseguenze che abbia investito da anni la D. C., non sappiamo nulla o quasi. Non conosciamo la posizione del Segretario né del Presidente del Consiglio; vaghe indiscrezioni dell'On. Bodrato con accenti di generico carattere umanitario. Nessuna notizia sul contenuto; sulle intelligenti sottigliezze di Granelli, sulle robuste argomentazioni di Misasi (quanto contavo su di esse), sulla precisa sintesi politica dei Presidenti dei Gruppi e specie dell'On. Piccoli. Mi sono detto: la situazione non è matura e ci converrà aspettare. È prudenza tradizionale della D. C. Ed ho atteso fiducioso come sempre, immaginando quello che Gui, Misasi, Granelli, Gava, Gonella (l'umanista dell'Osservatore) ed altri avrebbero detto nella vera riunione, dopo questa prima interlocutoria. Vorrei rilevare incidentalmente che la competenza è certo del Governo, ma che esso ha il suo fondamento insostituibile nella D. C. che dà e ritira la fiducia, come in circostanze così drammatiche sarebbe giustificato. È dunque alla D. C. che bisogna guardare. Ed invece, dicevo, niente. Sedute notturne, angosce, insofferenza, richiami alle ragioni del Partito e dello Stato. Viene una proposta unitaria nobilissima, ma che elude purtroppo il problema politico reale.Invece dev'essere chiaro che politicamente il tema non è quello della pietà umana, pur così suggestiva, ma dello scambio di alcuni prigionieri di guerra (guerra o guerriglia come si vuole), come si pratica là dove si fa la guerra, come si pratica in paesi altamente civili (quasi la universalità), dove si scambia non solo per obiettive ragioni umanitarie, ma per la salvezza della vita umana innocente. Perché in Italia un altro codice? Per la forza comunista entrata in campo e che dovrà fare i conti con tutti questi problemi anche in confronto della più umana posizione socialista?Vorrei ora fermarmi un momento sulla comparazione dei beni di cui si tratta: uno recuperabile, sia pure a caro prezzo, la libertà; l'altro, in nessun modo recuperabile, la vita. Con quale senso di giustizia, con quale pauroso arretramento sulla stessa legge del taglione, lo Stato, con la sua inerzia, con il suo cinismo, con la sua mancanza di senso storico consente che per una libertà che s'intenda negare si accetti e si dia come scontata la più grave ed irreparabile pena di morte? Questo è un punto essenziale che avevo immaginato Misasi sviluppasse con la sua intelligenza ed eloquenza. In questo modo si reintroduce la pena di morte che un Paese civile come il nostro ha escluso sin dal Beccaria ed espunto nel dopoguerra dal codice come primo segno di autentica democratizzazione. Con la sua inerzia, con il suo tener dietro, in nome della ragion di Stato, l'organizzazione statale condanna a morte e senza troppo pensarci su, perché c'è uno stato di detenzione preminente da difendere. È una cosa enorme. Ci vuole un atto di coraggio senza condizionamenti di alcuno. Zaccagnini, sei eletto dal congresso.Nessuno ti può sindacare. La tua parola è decisiva. Non essere incerto, pencolante, acquiescente. Sii coraggioso e puro come nella tua giovinezza.E poi, detto questo, io ripeto che non accetto l'iniqua ed ingrata sentenza della D. C. Ripeto: non assolverò e non giustificherò nessuno. Nessuna ragione politica e morale mi potranno spingere a farlo.Con il mio è il grido della mia famiglia ferita a morte, che spero possa dire autonomamente la sua parola. Non creda la D. C. di avere chiuso il suo problema, liquidando Moro. Io ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e di alternativa, per impedire che della D. C. si faccia quello che se ne fa oggi.Per questa ragione, per una evidente incompatibilità, chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato, né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno veramente voluto bene e sono degni perciò di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore.Cordiali salutiAldo MoroP. S. Diffido a non prendere decisioni fuori dagli organi competenti di partito.Le Brigate rosse fanno ritrovare il comunicato n. 8. Insieme c'è una lettera di Moro al segretario democristiano Zaccagnini. Moro sembra abbastanza informato delle posizioni di esponenti del suo partito. Fa, ad esempio, riferimento alle cose dette da Granelli, della Direzione nazionale, o da Gonella, autorevole democristiano, membro dell'Assemblea costituente, in quei giorni fra i più strenui difensori della fermezza.Le Br, nel comunicato, considerano dilatorie e oscure le risposte della Dc a quanto finora da loro richiesto ed esplicitato ora con maggiore chiarezza. È la Democrazia cristiana il loro unico interlocutore: «La Dc e il suo governo hanno la possibilità di ottenere la sospensione della sentenza del Tribunale del Popolo e il rilascio di Aldo Moro solo liberando i prigionieri comunisti». Segue un elenco di tredici detenuti, dal «nucleo storico» dei Nap e della XXII Ottobre a «proletari prigionieri» politicizzatisi in carcere. «Se cosi non sarà, trarremmo immediatamente le debite conseguenze ed eseguiremo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato».A mezzogiorno circa il testo del comunicato è sui tavoli di tutte le segreterie di partito. A piazza del Gesù si decide di non tenere alcun incontro. Nessuna riunione. Anche i socialisti sembrano perentori di fronte alle richieste del comunicato Br. Quattro righe secche arrivano dalla segreteria socialista di via del Corso: «La Direzione ha già espresso la sua opinione contraria a uno scambio di prigionieri». Il presidente della Caritas Internationalis, che i brigatisti non considerano attendibile interlocutore a meno di un formale incarico a trattare da parte della Dc, e a cui lo stesso Moro fa cenno nella sua lettera («proposta nobilissima») dichiara: «Il papa nel suo appello agli uomini delle Br ha semplicemente chiesto la liberazione di Moro senza condizioni. Noi siamo sulla stessa linea». I comunisti non rilasciano alcuna dichiarazione ufficiale. Il partito è impegnato nella preparazione della ricorrenza del 25 aprile.A Palazzo Chigi riunione del Comitato Interministeriale per la Sicurezza, a conclusione del quale il governo dichiara che «le richieste di scambio erano e sono inaccettabili? la valutazione del governo è conforme a quella espressa dal Parlamento». Proprio alla Camera, il presidente Ingrao aveva tolto la parola a Pannella che avrebbe voluto discutere del comunicato brigatista. Monsignor Casaroli telefona ad Andreotti, chiedendogli di inviargli per iscritto le considerazioni da lui svolte sui limiti necessari all'azione del Papa rispetto allo Stato. A casa della famiglia Moro sono convenuti tutti i collaboratori del presidente Dc, che continuano a fare la spola tra piazza del Gesù e via del Forte Trionfale. Si discute se fare una dichiarazione ulteriore dopo l'arrivo del comunicato n. 8 e della lettera di Moro, ma si decide di aspettare. Freato e Rana, collaboratori di Moro, vanno a Palazzo Chigi, dove invano tenteranno di parlare con Andreotti. Eleonora Moro, dopo la dichiarazione del presidente della Caritas, si fa accompagnare in automobile alla sede della Dc. A tarda sera, convergono nuovamente tutti a via del Forte Trionfale.Lanfranco Caminiti