Era il caldo 1977 e in Italia c'era anche chi cantava così: "Io canterò politico / quando starete zitti / e tutti i vostri slogan / saranno ormai sconfitti / quando sarete stanchi / di starvene nel coro / a battere le mani solo se lo voglion loro ?". E ancora: "Io canterò politico / ma il giorno è ancor lontano / per ora sono l'unico ad andare contromano / ma i miei finti colleghi / che fan rivoluzioni / seduti sopra pacchi / di autentici milioni / dovranno ritornare al ruolo di pulcini / lasciando intatto il candido e poetico Guccini?". Nessuno immaginerebbe a primo impatto che il cantautore in questione - il quale mostra pure grande rispetto e affetto per l'autore di una ballata politica come L'avvelenata - fosse in realtà Bruno Lauzi, di cui il 24 ottobre ricorre il decennale della scomparsa, il quale all'epoca veniva semmai considerato quasi una sorta di vecchietto (aveva appena 40 anni, essendo nato ad Asmara nel 1937), come uno dei reduci dell'epopea della ormai datata "scuola di Genova", il luogo e lo spazio in cui erano nati nel nostro paese i "cantautori".Chiariamoci, comunque. Il neologismo di "cantautore", apparso per la prima volta nelle note di copertina di un disco, e poi nel listino di una casa discografica (la Rca), pare sia stato coniato da un funzionario della Rca, Ennio Melis insieme al suo collega Vincenzo Micocci, con l'obiettivo di segnalare la rottura di alcuni autori e interpreti di canzoni che - sulle orme di Domenico Modugno - stavano innovando la musicalità e i testi della nostra musica leggera e pop. Ci si riferiva ovviamente ai genovesi Tenco, Lauzi, Paoli, Bindi e De André oltre che ai milanesi, che comunque avevano relazioni con i primi, Jannacci e Gaber, e all'istriano Sergio Endrigo. "Una scuola - ammise il nostro Lauzi - prevede maestri e allievi, e invece nessuno di noi fece da maestro né fu allievo. Anzi, più raramente si trovò un tale gruppo di vicini di casa più diversi tra loro: anche se tutti inconsciamente tesi, a dare una spallata alle belle certezze degli autori delle canzoni allora di moda, confondendo le idee che già erano poche e confuse ai discografici".I primi, comunque, furono due compagni di banco al liceo genovese D'Oria: Bruno (Lauzi) e Luigi (Tenco). Che, innamorati del jazz, iniziano a giocare con gli strumenti musicali: Bruno col banjo e Luigi col clarino? Poi conoscono Giorgio Calabrese e Franco Reverberi: il primo lavorava al porto e introduce i due amici alla musica degli chansonnier; il secondo suonava nei locali e insegnò ai due ragazzi i primi rudimenti dell'armonia musicale. Da lì il passo sarà breve, i due ragazzi diverranno poi quattro, i "quattro amici al bar" cantati da Paoli, si stabiliranno rapporti con Milano e usciranno i primi dischi. I più precoci a incidere saranno Umberto Bindi e Gino Paoli. "La rivoluzione iniziò - prosegue Lauzi - a nostra insaputa. Le canzoni di noi amici cominciarono a circolare sempre più, inarrestabili: prima Arrivederci e Il nostro concerto di Umberto poi La gatta di Gino?".Ma facciamo un passo indietro. Il 30 giugno del '56 la vita di Bruno cambia: i suoi lasciano Genova e si trasferiscono a Varese. Lauzi studia all'università, ma prosegue deciso e appassionato con la musica. Soprattutto scopre il grandissimo cantautore francese Georges Brassens, ascoltato attraverso un nuovo amico, l'architetto Gianni Bottini: "La sintonia politica - raccontò Bruno - non guastava, gli stessi interessi estetici ancor meno senza di lui non avrei mai scritto le mie canzoni". E a Varese Lauzi trasforma la sua malinconia da adolescente e la sua nostalgia di Genova nelle sue prime canzoni: Menica menica, Il vecchio paese, La ballata medievale, La banda e, soprattutto,  Il poeta, che è del 1961 ed è il primo motivo a far conoscere al grande pubblico il giovane cantautore. E mentre produce queste ballate e canzoni, Bruno frequenta ambienti liberali e stabilisce un rapporto di collaborazione con lo scrittore Piero Chiara.E c'è di più: "Direttore Chiara, feci - raccontò ancora Bruno - per circa un anno un giornale liberale intitolato L'Altolombardo, di cui curavo il fondo politico, l'elzeviro di costume e impaginazione, titolazione, correzione bozze, il tutto per 5mila lire al mese. Al Partito liberale, di cui Chiara era segretario degli adulti e io presidente giovanile, raramente s'affacciava qualcuno, così occupavo il mio tempo correggendo le bozze dei suoi libri?".Una scelta ideale, quella del giovane Lauzi, che proseguirà per tutta la sua vita: "Eravamo solidi liberali, il che ci faceva sentire risorgimentali, in un certo senso rivoluzionari". Ed ecco che il piccolo (di statura) grande cantautore che scriverà e inciderà Ritornerai, una delle canzoni simbolo degli anni '60, sarà in totale controtendenza in quegli anni '70 in cui tutti dovevano almeno far finta di essere schierati a sinistra. Tanto che il suo amico Indro Montanelli, all'esordio nel 1974 del suo Giornale, nato proprio da una scissione dal Corriere della Sera troppo conformista, invita Lauzi a scrivere sulle colonne del nuovo quotidiano e inoltre lo invita a scrivere un libro sulla sua esperienza di cantautore "non di sinistra". La mattina in cui uscì il suo primo articolo, Bruno venne invitato in redazione: "Mi ritrovai schierati a complimentarsi con me, oltre l'Indro, Egidio Sterpa, Enzo Bettiza e Giampaolo Martelli?".Il libro, che doveva essere pubblicato per la casa editrice del Giornale - l'Editoriale Nuova - Lauzi per allora non lo scrisse mentre proseguiva con la sua carriera musicale, già ricca di tanti successi. Anche in qualità di autore per cantanti come Mia Martini (Piccolo uomo e Almeno tu nell'universo), di fine traduttore di canzoni internazionali (due su tutte: L'appuntamento per Ornella Vanoni e Lo straniero di Georges Moustaki) e di straordinario interprete dei massimi autori italiani da Paolo Conte (Onda su onda, Bartali e Genova per noi) a Mogol e Battisti (E penso a te, Amore caro amore bello, L'aquila, Un uomo che ti ama), passando per Bennato, Vecchioni, Dalla e Ivano Fossati. Senza dimenticare che lui, liberale doc e libertario anticomunista, inciderà Vedrai com'è bello, una struggente ballata folk di Gualtiero Bertelli, uno dei cantori sessantottini, con la quale la voce di Lauzi dava il timbro inconfondibile alla sigla di "Turno C", la storica trasmissione di Rai Uno dedicata ai temi del lavoro e del sindacato. E non mancano, infine, anche canzoni per bambini come La tartaruga e Johnny Bassotto?D'altronde Lauzi era davvero un uomo davvero libero, non riusciva a farsi ingabbiare. Quando lavorò al lancio dei primi cabaret in Italia, dopo il Derby e il Cab 64 si Milano non si fece problemi a esibirsi a Roma al Bagaglino, considerato di destra: "Era diretto da Luciano Cirri, un fascista rispettato da tutti per la cultura e la coerenza. Ci lavoravano due grandi: Oreste Lionello e Pino Caruso?". Questo e tanto altro è raccontato in Tanto domani mi sveglio. Autobiografia in controcanto  (Gammaro editori), il libro che gli aveva commissionato Montanelli ma che Bruno consegnerà per la stampa solo nel 2006, poco prima che lui lasci questo mondo. Un bel libro dove scorre tutta la sua vita, la sua musica, la sua esperienza. E dove, ad esempio, si legge di quando, in un'estate dei primi anni 70, viene raggiunto da una telefonata: "È Ugo Gregoretti, artista che tra l'altro ammiro sinceramente. Mi dice: 'Sono stato incaricato di dare il via al primo Festival nazionale dell'Unità e avrei pensato di cominciare con un suo concerto'?". Lauzi non lo lascia neanche finire. La risposta è lapidaria: "Liberate tutti gli artisti russi dai lager". Del resto, una sua canzone sul tema del Muro di Berlino (Domani ti diranno) era stata letta e cantata clandestinamente dai giovani dissidenti dei paesi dell'Est. Mentre in Italia era stata censurata dalla Rai democristiana perché - si legge in Tanto domani mi sveglio - avrebbe potuto 'offendere i sentimenti (!) di più di dieci milioni di italiani', cioè degli elettori del Pci".I ricordi politico-culturali di Lauzi sono tantissimi. "Negli anni '70 - rievoca a un certo punto - è fondamentale per la propria salute fisica non tanto il non essere fascista quanto il non sembrarlo. Qualcuno, non si sa quanto in buona fede, decide che Lucio Battisti è fascista, adducendo come prova una sua foto in cui sembra fare il saluto fatidico, anche se a guardar bene si vede che il braccio non è teso manca infatti in lui la marzialità necessaria?". E Bruno quando incontra il caro amico Lucio gliene parla, scoprendo che il collega reatino era in realtà un impolitico tout court, un tranquillo, un disimpegnato, come amava dire. Ma Lauzi gli chiede perché non smentisce. "Alimenta la leggenda", fu la risposta ironica e disincantata di Lucio, il quale invece ribatte e gli chiede cose sul liberalismo. "Ho passato quindi un'intera serata - prosegue il nostro - girando attorno alla piscina dello Sporting Club di San Felice spiegando a un Battisti interessato e curioso il liberalismo e il movimento dei radicali. Lui voleva sapere per orientarsi in politica. Da quella notte mi piacque credere che gli venne l'urgenza di andare a Londra e frequentare la celebre London School of Economics?".Lauzi sembra parlare più di politica che di canzonette: "Il fatto - annota - è che in me si è sempre nascosto un politico vero, non un cialtrone che della politica ha afferrato solo il lato utilitaristico a proprio vantaggio". Per cui dalla giovanile presidenza dei direttivo di Gioventù liberale a Varese arriverà, con la segreteria di Valerio Zanone, alla cooptazione - insieme al suo vecchio amico Enzo Tortora - nel Consiglio nazionale del Pli, destinati al settore comunicazione e propaganda. Fino al momento della tragedia che coinvolse Tortora con l'assurda accusa di far parte della camorra e con la sua detenzione: "Io mi schierai immediatamente dalla sua parte, fui denunciato ai probiviri del Pli per avere invitato a votare radicale i nostri elettori invece che per le nostre liste. Mi fu facile dimostrare comunque che non avrei potuto essere più liberale di così?".Insomma, controcorrente e non conformista per vocazione, Bruno Lauzi è stato un vero intellettuale non allineato. Grande amico di Hugo Pratt (al quale dedicò anche Samba per Corto) e di Vinicius de Moraes, interlocutore di Umberto Simonetta, Giancarlo Fusco e addirittura Gabriel Garcia Marquez, resterà però nell'immaginario come l'autore di Ritornerai, un pezzo che rappresenta tutta un'epoca e uno stato d'animo e che ha avuto grande fortuna al cinema. Urlata nel film di Ettore Scola La congiuntura da un Gassman scatenato che salta sul palco dell'orchestra e la canta a squarciagola da vero mattatore. Ballata in chiesa nel surreale finale di La messa è finita di Nanni Moretti, scandita da Franco Battiato nel delizioso Manuale d'amore di Giovanni Veronesi, sottofondo significativo di alcune scene chiave dei Sapore di mare dei fratelli Vanzina, è ormai un evergreen della musica italiana del secondo Novecento. Intramontabile come il suo autore.