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Tahereh Saeedi, left, director Jafar Panahi and Solmaz Panahi pose for photographers upon arrival at the premiere of the film 'It Was Just an Accident' at the 78th international film festival, Cannes, southern France, Tuesday, May 20, 2025. (Photo by Lewis Joly/Invision/AP) Associated Press/LaPresse
La 78esima edizione del Festival di Cannes assegna il premio più ambito al film “Un simple accident” dell’iraniano Jafar Panahi con Madjid Panahi, Ebrahim Azizi, Vahid Mobasseri, Mariam Afshari. Figura simbolo del dissenso in Iran, Panahi ha realizzato il film dopo anni di censura e repressione: per oltre un decennio gli è stato vietato di lasciare l'Iran ed è stato in carcere. Il film nasce proprio dai racconti raccolti durante la sua detenzione.
«La cosa più importante è la libertà del nostro Paese. Credo che sia il momento per chiedere a tutti gli iraniani che sono nel mondo: mettiamo da parte problemi, le differenze», è l’appello del regista dal palco mentre riceveva la Palma d'oro dall'attrice Cate Blanchett.
«Credo che questo sia il momento di chiedere a tutte le persone, a tutti gli iraniani, con tutte le loro opinioni diverse, ovunque si trovino nel mondo, in Iran o all'estero, di permettermi di chiedere una cosa - ha detto Panahi - mettiamo da parte tutti i problemi, tutte le differenze. Ciò che conta di più in questo momento è il nostro Paese e la libertà del nostro Paese».
L'annuncio è accolto da una lunga ovazione. Panahi — per la prima volta presente fisicamente sulla Croisette dopo anni di repressione e arresti domiciliari — riceve il premio con compostezza e poche parole. Ma il gesto, e il film, parlano con forza. “Un simple accident” è il film più apertamente politico della carriera di Panahi. Un thriller morale e carcerario che prende avvio da un fatto banale – un piccolo incidente stradale - e si trasforma in un atto di accusa corale contro la violenza di Stato.
Un gruppo di ex detenuti, torturati e segnati, si riunisce per identificare e giudicare l'uomo che credono essere stato il loro carnefice, un procuratore zoppo mai visto in volto, riconoscibile solo da un passo, un odore, una voce. Il dubbio morale e la sete di giustizia muovono il racconto in una spirale di tensione, che Panahi costruisce tra interni claustrofobici, deserti spogli e dialoghi tesi. Girato con attori non professionisti, in condizioni clandestine, il film fonde l'assurdo di Beckett alla tensione politica di un cinema di vendetta post-totalitaria.
La verità resta ambigua, ma ciò che conta per Panahi è l'emergere di una coscienza collettiva: quella dei perseguitati che, riconoscendosi, si fanno resistenza comune. Il film è nato anche da testimonianze raccolte durante la prigionia del regista, e si impone come un'opera di denuncia, di solidarietà e di memoria. Con questa Palma, Cannes riconosce non solo un grande autore, ma un cinema che non smette di interrogare la realtà anche sotto censura, sotto minaccia, sotto sorveglianza. Un semplice incidente, forse. Ma una Palma decisamente necessaria.
Il Grand Prix è andato a “Sentimental Value” del norvegese Joachim Trier. Il premio Miglior regia va a Kleber Mendonça Filho e Miglior attore a Wagner Moura per “L'agente segreto”, Miglior attrice a Nadia Melliti per “La petite dernière”. Nessun premio per l'unico film italiano in lizza, “Fuori” di Mario Martone con Valeria Golino, Matilda De Angelis, Elodie, Corrado Fortuna.