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“Per Elisa - Il caso Claps”, la miniserie televisiva italiana diretta da Marco Pontecorvo che racconta i fatti dell'omicidio di Elisa Claps, è davvero una occasione persa per gli appassionati di cronaca nera e giudiziaria.
Come è noto a tutti la ragazza scomparve a Potenza il 12 settembre 1993 e se ne persero le tracce per diciassette anni, fino a quando il suo cadavere decomposto venne rinvenuto nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità nel capoluogo della regione Basilicata il 17 marzo 2010. Le indagini successive appurarono che la morte avvenne lo stesso giorno della sua scomparsa e identificarono l'assassino in Danilo Restivo, ventunenne all'epoca dell'omicidio; l’uomo fu giudicato colpevole anche dell'assassinio d'una vicina di casa, Heather Barnett, compiuto il 12 novembre 2002 in territorio britannico.
I sei episodi, trasmessi nell’autunno 2023 su Rai 1 e da qualche mese approdati su Netflix, hanno sì raccolto grande consenso di pubblico scalzando dalla classifica persino il “Il caso Yara”, tuttavia si sono sottratti dal racconto dettagliato dei processi a carico dell’assassino Danilo Restivo e dei procedimenti collaterali, relegando molto nei titoli di coda. Il racconto nella maggior parte delle puntate si è troppo spesso focalizzato solamente sulla legittima battaglia della famiglia Claps durata decenni per scoprire la verità sulla morte della giovane Elisa senza però mai approfondire dettagliatamente tutto il filone dei vari depistaggi, delle indagini inconcludenti, dei processi tra Italia e Inghilterra, di una chiesa che ha alzato solo muri.
La scelta degli autori, che si sono avvalsi anche della consulenza della famiglia Claps, ha prediletto la forma della fiction abbandonando, o meglio relegando alla sola ultima puntata, il racconto true crime. Nella serie viene tratteggiato l’affresco della vita di provincia, tranquilla, senza particolari scossoni, con la famiglia umile dei Claps che vive serenamente la propria quotidianità fin quando Elisa non scompare. Da qui la trama si dipana tra le lunghe ricerche, i sospetti sulla potente famiglia Restivo, la battaglia del fratello di Elisa – verrebbe quasi da dire che il vero protagonista dello sceneggiato è Gildo più che Elisa - il divieto di perquisire il luogo di culto dal parroco don Mimì Sabia ormai deceduto, la incredibile chiusura dell’inchiesta, ipotizzando l’allontanamento volontario della giovane.
Contemporaneamente molto tempo è stato dedicato alla vera storia d’amore di Gildo con la sua fidanzata, poi divenuta sua moglie, ai tormenti interiori del padre di Elisa, alla nascita dell’associazione Penelope dedicata agli scomparsi, alle manifestazioni per la verità tra le strade di Potenza, al mutamento della legge per le persone scomparse, ai ricordi, ai litigi tra i fratelli Claps. Tutte prospettive giustissime ma dove sono i processi? La cronaca giudiziaria è stata sacrificata sull’altare dello scopo divulgativo.
Eppure la vicenda che ha visto protagonista Danilo Restivo è alquanto interessante. Il 30 giugno 2011 Restivo venne condannato all'ergastolo dalla Crown Court di Winchester per l'assassinio di Heather Barnett, uccisa il 12 novembre 2002 a Charminster (un villaggio del Dorset, nei pressi di Bournemouth), dove Restivo si era trasferito, diventando vicino di casa della Barnett. Nella serie però non si trasmettono tutte le parole del giudice ossia: «Lei è recidivo. È un assassino freddo, depravato e calcolatore», che ha «ucciso Heather come ha fatto con Elisa». Per questo, ha aggiunto, «merita di stare in prigione per tutta la vita». Il giudice Bowes giudicò «inappropriata» una pena di 30 anni, poiché «in questo caso non esistono attenuanti. Il punto di partenza è la carcerazione a vita».
L'8 novembre dello stesso, presso il Tribunale di Salerno, ebbe inizio con rito abbreviato il processo di primo grado a Restivo. Tuttavia, il processo si svolse in assenza dell'imputato - il quale si rifiutò anche di collegarsi in remoto dal carcere britannico - , in quanto, in seguito a un ricorso della difesa per l'omicidio di Heather Barnett (che al termine modificò la pena dall’ergastolo a 40 anni), il relativo processo non era ancora concluso e, di conseguenza, il governo britannico ne vietò la temporanea estradizione in Italia.
Nel corso della prima udienza, i pm fecero notare che i cosiddetti “reati concorrenti”, ossia la violenza sessuale e l'occultamento di cadavere, che avrebbero potuto far scattare l'ergastolo, erano ormai tutti prescritti, quindi avanzarono la richiesta di trent'anni di reclusione (ossia il massimo possibile), unitamente all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e tre anni di libertà vigilata al termine dell'espiazione della pena. Restivo venne condannato con l'accoglimento di tutte le richieste della pubblica accusa.
E arriviamo al 24 aprile 2013, quando la Corte d'Assise d'Appello di Salerno confermò la condanna a trent'anni per Danilo Restivo, accusato di aver ucciso con tredici coltellate Elisa. Lui quella volta era presente in Italia: chiuso in gabbia, con un abito scuro e gli occhi bassi, l’uomo ascoltò la sentenza in maniera impassibile. A Restivo era stato consentito di recarsi in Italia con una procedura di consegna temporanea, con la garanzia che sarebbe stato rimpatriato nel Regno Unito per scontare il resto della pena per l'omicidio della signora Barnett, indipendentemente dall'esito del procedimento italiano.
Il 23 ottobre 2014, la Corte di Cassazione rigettò il ricorso presentato dalla difesa e confermò in via definitiva la pena. Ma tutto questo nella fiction non c’è. E manca anche altro. Lo stesso gup Boccassini in primo grado aveva scritto nella sua sentenza di «condotte di inquinamento probatorio imputabili a famigliari e terzi», di omissioni gravi. A Salerno infatti poco dopo sarebbe iniziato il processo a carico di due donne di Potenza per falsa testimonianza.
Come si ricorderà, il cadavere di Elisa Claps fu trovato ufficialmente il 17 marzo del 2010 da alcuni operai che stavano facendo un sopralluogo nel sottotetto. L’accusa ha sempre invece ritenuto che ciò avvenne qualche tempo prima, nel mese di febbraio, proprio da parte delle due donne che, addette alle pulizie, si recarono nel sottotetto, scoprirono il cadavere ed avvisarono il vice parroco don Wagno. Quest’ultimo avrebbe però «scambiato il cranio di Elisa - disse durante la sua testimonianza - per un pallone, vecchio e nero», notando però una scarpa e gli occhiali, ma «prendendoli per cose vecchie». In primo grado erano state condannate a otto mesi di reclusione, pena sospesa. In appello per le due intervenne la prescrizione del reato.
Il caso Claps appare dunque non affatto chiuso perché rimane tutto da chiarire: chi ha protetto il colpevole, la figura misteriosa e controversa di don Mimì, chi ha inquinato le prove e consentito che il cadavere rimanesse per diciassette lunghi anni nascosto nel sottotetto della chiesa della Trinità di Potenza senza che nessuno si potesse accorgere della presenza. Tutto questo sarebbe stato interessante da raccontare?