Da trent’anni e qualche giorno, “Blob” ci fa riflettere, ridere a volte anche piangere dalla disperazione su quella che l’intellettuale francese Guy Debord definiva “la società dello spettacolo”. Inventata di sana pianta da Enrico Ghezzi, Marco Giusti e Angelo Guglielmi per Rai3, la trasmissione fin da subito mostra l’intreccio, ancora oggi esplosivo, tra politica, spettacolo, società.

L’idea è talmente geniale e profetica che “Blob' è un programma che vive ancora oggi, grazie a un pubblico di fedelissimi che non lo molla mai. Il nome è tratto dall’omonimo film horror del 1956 che in Italia fu distribuito con il titolo Il fluido mortale.

Ghezzi, insieme a Debord, capisce che la lotta si sposta sul piano dell’immaginario e si inventa un linguaggio nuovo, spiazzante, che nei suoi accostamenti ci mostra l’assurdità del mondo in cui viviamo a partire da quello televisivo. Il fluido mortale sono le immagini che ogni giorno ci assalgono, i “no sense' delle notizie che si avviluppano, come quando si passa dalla morte di qualcuno al bel tempo su tutta la penisola isole comprese: il fluido in fondo siamo noi.

Dal punto di vista della creazione televisiva e dell’intreccio con la filosofia, sono anni incredibili. Dal 1987, e fino al 1994, Angelo Guglielmi è direttore di Rai3. E’ con la sua guida che nella Terza rete nascono, oltre a “Blob”, “Fuori orario”, “Samarcanda”, “Mi manda Lubrano” ( che poi diventerà “Mi manda Rai3”), “Chi l’ha visto?”, “Un giorno in pretura”, “La tv delle ragazze”. Nasce cioè una nuova televisione: da quella stagione, in Italia, non è più accaduto in tv niente di altrettanto rivoluzionario e innovativo. Le uniche innovazioni sono i format che arrivano dall’estero o la ripetizione di ciò che è già stato. Che cosa è accaduto? Le cause sono tante: la mancanza di coraggio, la dittatura dell’Auditel, ma forse oggi è proprio impossibile farsi venire nuove idee rispetto a una tv che appare ogni giorno più obsoleta e ripiegata su se stessa. La Rai di Guglielmi è anche quella di Sandro Curzi alla direzione del Tg3, la cosiddetta Tele Kabul. La tv della “gente”, la tv popolare che per la prima volta teorizza il rapporto diretto con gli spettatori, una tv di servizio che negli anni, purtroppo, è diventata, allo stesso tempo, sintomo e stimolo del populismo.

Trent’anni fa la bilancia pende dalla parte dell’innovazione. Ghezzi, l’anno prima di “Blob”, inventa un’altra trasmissione culto “Fuori orario. Cose ( mai) viste”: una palestra di cinema e di sentimenti che ha formato intere generazioni alle filmografie meno gettonate e meno usuali. I film assumono un significato ancora più forte perché introdotti dalla voce di Ghezzi. Con il suo stile sincopato, privo apparentemente di logica, mima l’assurdo del montaggio, per poi farci vedere la realtà da un punto di vista del tutto inaspettato.

Oggi l’avventura di Ghezzi continua con “Blob” e con le sue provocazioni. Ma la sensazione è che la longevità meritata strida con il panorama generale della televisione. E’ come se tutta la tv fosse diventata parodia di se stessa, una sorta di grande blob con accostamenti molto spesso incomprensibili a cui però ci siamo ormai abituati o meglio dire rassegnati.

Il fluido mortale che all’inizio era circoscritto alla parodia che della tv faceva “Blob” è diventato la cifra principale dell’unico grande format che attraversa canali, programmi, di giorno e di notte. Forse per questa ragione sempre più spesso la tv si nutre di se stessa. Vanno molto di moda le trasmissioni che attingono al repertorio, come è il caso di “Techetecheté”, una sorta di “Blob' buonista e didascalico ma realizzato bene.

Sono anche molto di moda quei personaggi che vengono riproposti non perché abbiano qualcosa da dire o da fare, ma perché già protagonisti di altre trasmissioni tv. I concorrenti che partecipano a “L’isola dei famosi”, giusto per fare un esempio, sono famosi solo perché hanno fatto parte della precedente edizione del reality. E così all’infinito. Il quadro che emerge è quello di una sorta di parodia permanente che viene però confusa con il reale, di una nostalgia per il tempo che fu spacciato per presente se non per futuro.

In fondo la nostalgia è anche uno dei sentimenti della nostra epoca: incapaci di progettare il futuro, di andare oltre al “qui e ora”, ci chiudiamo nel ricordo del passato.

Che poi, se vogliamo, è anche il limite di questo articolo ma non di “Blob” che ha ancora tanto da dire.