L’esercito ucraino è entrato a Kherson, capoluogo della strategica regione meridionale occupata dai russi nelle prime fase dell’offensiva. Le forze di Mosca si sono ritirate a Est, sulla riva sinistra del fiume Dnepr, in un’altra dura battuta d’arresto per la cosiddetta operazione speciale, a quasi nove mesi dal suo inizio. «Kherson sta tornando al controllo ucraino, unità delle forze armate ucraine stanno entrando in città», ha annunciato su Facebook il ministero della Difesa di Kiev, chiedendo ai soldati russi rimasti nell’area di «arrendersi immediatamente». Il capo della diplomazia ucraina, Dmytro Kuleba, ha salutato «un’importante vittoria» e ha pubblicato sulle reti sociali un video che mostra, a sua detta, i residenti della località di Bilozerka, a pochi chilometri dal capoluogo, intenti a distruggere un gigantesco manifesto che proclama: «La Russia è qui per sempre». Il parlamento ucraino, la Verkhovna Rada, da parte sua, ha diffuso su Telegram foto di civili che sventolavano bandiere ucraine a Kherson, conquistata a metà marzo dai russi, per i quali era un obiettivo di importanza primaria alla luce della prossimità con la Crimea. Secondo l’esercito russo, sono più di 30 mila i militari di Mosca che hanno ripiegato sulla sponda orientale del Dnepr. È la terza ritirata in ordine di grandezza dall’inizio dell’invasione, dopo la rinuncia alla conquista di Kiev in primavera e l’abbandono quasi totale dei territori conquistati nell’Oblast di Kharkiv lo scorso settembre. Venerdì scorso il ministero della Difesa russo aveva annunciato di aver completato il «riposizionamento» delle sue unità dalla sponda occidentale del fiume, dove si trova Kherson, a quella orientale, assicurando di non aver subito alcuna perdita e di non aver lasciato dietro equipaggiamento.

Kherson liberata, il Cremlino: "Il ritiro non è un'umiliazione"

Il Cremlino ha negato che il ritiro delle truppe russe da Kherson sia stata un’umiliazione per Mosca. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che i territori abbandonati rimangono parte della Federazione, per via dei «referendum» svoltisi a fine settembre. Non c’è stata però la dura reazione che ci si poteva attendere da Mosca dopo la mobilitazione di circa 300mila riservisti per consolidare le linee in difficoltà e le minacciose allusioni al possibile ricorso ad armi nucleari. Anzi, gli alti comandi di Mosca sono stati espliciti nello spiegare che la marcia indietro ha avuto lo scopo di salvare i soldati sulla sponda occidentale, che rischiavano di restare intrappolati in una sacca alla mercé degli avversari. Le agenzie di stampa russe hanno mostrato filmati di convogli militari russi che lasciavano la città diretti verso il ponte Antonivsky, martellato per settimane dall’artiglieria ucraina, che ne ha reso impraticabile più di un tratto, sferrando un duro colpo alla già complicata logistica delle forze armate del Cremlino. Gli sforzi di Mosca appaiono ora concentrarsi sul Donbass, dove Mosca ha preso l’iniziativa nel settore di Bakhmut dopo aver subito per lungo tempo quella di Kiev. La conquista di questa città, sede di un fondamentale snodo autostradale, non è però ancora riuscita dopo mesi di tentativi, sostenuti dal contributo degli uomini di Wagner, il gruppo paramilitare di proprietà del potente oligarca Yevgeny Prigozhin. Non si fermano, nel frattempo, gli attacchi missilistici russi alle infrastrutture energetiche delle maggiori città ucraine. Nella notte un bombardamento ha colpito Mykolaiv, a centochilometri da Kherson, distruggendo un condominio di cinque piani e uccidendo sette persone che si trovavano nell’edificio. Il governatore della regione di Mykolaiv, Vitaliy Kim, ha parlato di «una risposta cinica dello Stato terrorista ai nostri successi al fronte».