«Siete conniventi con l'Isis», «voi non siete capaci di controllare Assad»: si potrebbe sintetizzare così la rissa diplomatica fra Usa e Russia degli ultimi giorni che ha sancito la fine dell'ennesima fragile tregua in Siria. La settimana scorsa i jet statunitensi hanno bombardato la provincia di Deir Ez-Zor, vicino al confine sud-orientale con l'Iraq, uccidendo 90 soldati dell'esercito siriano di Bachar al-Assad. Il Pentagono ha ammesso l'errore, di cui ancora non sono state chiarite le cause, ma non è bastato per placare Mosca. Passano pochi giorni e, lunedì scorso, un doppio convoglio di aiuti umanitari dell'Onu e della Croce Rossa Internazionale fermo alle porte di Aleppo viene bombardato: venti civili morti, cibo e medicinali diretti nella zona orientale della città, in mano ai ribelli, distrutti. Questa volta sono gli americani ad accusare i russi: «Il convoglio è stato colpito dagli aerei siriani che voi dovreste controllare». I russi negano, ma il segretario dell'Onu Ban ki Moon rincara: «Nessuno ha ucciso più siriani del Presidente Assad». L'unico risultato concreto dello scontro diplomatico è la ripresa senza tregua dei combattimenti, che già hanno causato altre quattro vittime fra i volontari delle Ong.Il punto è che da quando, esattamente un anno fa, anche la Russia ha preso parte alla guerra siriana, il gioco preferito di americani e russi è diventato accusarsi a vicenda di spalleggiare l'Isis. Quando i jihadisti conquistarono un terzo dell'Iraq, l'allora vice primo ministro iracheno Bahaa al-Araji disse: «Sappiamo chi ha creato Daesh (l'acronimo arabo di Isis, ndr) » puntando il dito contro la Cia. Ed è innegabile che Washington sia stato perlomeno confusa sulle decisioni da prendere in territorio siriano: l'annunciata e poi mai effettuata guerra contro Assad ad inizio 2013, l'appoggio con armi e logistica a gruppi di ribelli che poi si sono rivelati alleati del gruppo Stato Islamico o delle fazioni vicine ad al-Qaeda, e soprattutto i rapporti ambivalenti con le potenze sunnite dell'area, accusate di aver creato e finanziato il Califfato.Già nel 2012 un documento della Dia (Defense Intellicence Agency) adesso desecretato ammoniva l'amministrazione Obama sulle manovre di Turchia e Arabia Saudita volte a creare un «territorio salafita» nella Siria allo sbando. Un allarme sottovalutato, così come è stata sottovalutata l'avanzata dei jihadisti, arrivati senza difficoltà a controllare migliaia di kilometri quadrati fra Siria e Iraq. Colpe per cui Obama viene accusato da Mosca, Damasco e Teheran ma anche da molti alleati dell'area.Nemmeno i russi però sono esenti da sospetti. Scesa in campo per «sconfiggere i terroristi dello Stato Islamico», per molto tempo l'aviazione russa ha bombardato zone siriane, come il campo palestinese di Yarmouk, la provincia di Dara'a, Homs e Aleppo orientale, dove è nota la presenza di gruppi ribelli avversati di Assad e non quella dei jihadisti di al-Baghdadi. Poi la zona di intervento è stata allargata a Palmira e il confine con la Turchia, dove effettivamente le truppe dell'Isis ci sono. Ma in più occasioni i jet da caccia russi hanno cambiato obiettivo. Il 16 giugno hanno bombardato il campo di al-Tanaf, sul confine meridionale fra Siria e Iraq. In quel campo c'erano solo soldati del New Syrian Army, la nuova coalizione curdo-araba a guida americana, che in quella zona è l'unica a combattere sul campo il gruppo Stato Islamico. Due morti, postazione distrutta e molti festeggiamenti sul web da parte dei supporter dei jihadisti. Pochi giorni dopo, secondo quanto riportò il Wall Street Journal, l'aviazione russa avrebbe bombardato una base segreta dei soldati americani e britannici usata per progettare le manovre contro l'Isis.Insomma, adesso che le truppe di al-Baghdadi devono affrontare attacchi da ogni parte che ne mettono a rischio la stessa esistenza, i nemici-alleati russi e americani devono trovare il modo di collaborare per cancellare definitivamente il Califfato. «In due anni abbiamo ucciso 45mila militanti dell'Isis con i nostri bombardamenti» ha detto un mese fa il comandante americano Sean MacFarland, iniziando a mettere i numeri sul tavolo. La tregua decisa una decina di giorni fa è saltata, ma i negoziati andranno avanti. Sul tavolo c'è il destino del Presidente Assad e la gloria di aver debellato il Califfato, da vedere se condivisa o meno.