Domenica si vota. Circa 40milioni di italiani sono chiamati alle urne per il referendum sulle trivelle. La stragrande maggioranza non sa di che si tratta. L’ex capo dello Stato, Napolitano, dice che astenersi si può. E’ stato sommerso di polemiche. Il minimo che si può registrare è la crescente confusione degli elettori.La realtà è che ancora una volta, e così facendo, nient’altro ottenendo che di svilirla, una consultazione popolare - appuntamento che dovrebbe rappresentare una delle massime prove di capacità democratica del sistema - viene caricata di significati impropri, estranei, di fatto contraddittori con la volontà dei proponenti. Che per di più in questo caso (ed è la prima volta) sono rappresentanze istituzionali: le Regioni. Nove in tutto, con amministrazioni di destra come di sinistra: Liguria, Veneto, Marche, Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna, Campania, Molise. Il quesito referendario chiede ai cittadini di decidere se gli impianti di trivellazione per l’estrazione degli idrocarburi entro le acque territoriali, situate cioè fino a 12 miglia dalla costa, debbano proseguire l’attività fino alla scadenza trentennale delle concessioni oppure fino all’esaurimento dei giacimenti. Un tema che può essere giudicato importante o no, sul quale assentire o meno, ma che certamente è specifico, settoriale. Che per potersi esprimere in modo efficace, richiede conoscenze e competenze non così comuni. Facile immaginare lo smarrimento degli elettori nei seggi. Aver mobilitato milioni di italiani su una questione che sostanzialmente riguarda un braccio di ferro tra potere centrale e autonomie su chi deve decidere riguardo l’approvvigionamento energetico, e che più adeguatamente avrebbe dovuto trovare composizione nella Conferenza Stato-Regioni o in altre sedi istituzionali invece che nelle cabine elettorali, è un fuor d’opera. Meglio: uno spreco.Non basta. Il senso di straniamento risulta ancor più accresciuto in virtù del fatto che il referendum è stato via via caricato di significati e valenze in buona parte fuorvianti. Non solo, dunque, il riflesso di un fondamentalismo ecologico: la vicenda delle dimissioni del ministro Guidi - con le annesse intercettazioni private, anzi privatissime che inesorabilmente sono finite sui giornali - ha offerto l’occasione per sortite contro le industrie petrolifere; attacchi all’arma bianca contro il governo e a Matteo Renzi; discettazioni sulla corruzione con l’inesorabile corollario di scontato sdegno e facili applausi nonostante l’ex ministro al momento appaia parte lesa. Altro che sì o no su una questione settoriale: in ballo c’è il Bene della salvaguardia del pianeta e della moralità pubblica contro il Male dei traffici e delle mazzette. Si può dire che tanto clangore e stridor di armi è esagerato al punto da diventare sospetto? La lotta alla corruzione è sacrosanta (ma non doveva esserci già da prima?); la tutela dell’ambiente e delle coste obbligatoria (ma le devastazioni di migliaia di abusi edilizi e di scarichi non controllati sono forse da meno?); la battaglia contro il governo di Renzi legittima e praticabile. Sconcerta però che debba svolgersi al riparo delle trivelle o facendosi scudo di schede referendarie.C’è infine il tema più urticante. Che più di tutti ha sollevato polemiche e che, di fatto, contrassegna l’appuntamento di domenica. Se cioè sia giusto invitare all’astensione, come ha fatto il premier Matteo Renzi o giudicarla comunque praticabile, come ha detto Napolitano; oppure se recarsi alle urne rappresenta un richiamo ineludibile, come ha puntualizzato il presidente della Consulta, Paolo Grossi (ma nel referendum sulla fecondazione assistita chi ricopriva il medesimo incarico evidentemente si era distratto). O un dovere civico, come ha ricordato il presidente della Camera, Laura Boldrini. Naturalmente ognuno può pensarla come vuole.Tuttavia tanti richiami alla Costituzione attuale, contro i tentativi di stravolgerla che sarebbero in atto, dovrebbero portare ad una sua più attenta lettura. Se i padri costituenti, infatti, hanno previsto la necessità di raggiungere un quorum per rendere valido il referendum non l’hanno sicuramente fatto a caso. Vuol dire consegnare al cittadino tre opzioni, tutte - questo il punto - legittime e praticabili: votare Sì, orientarsi sul No oppure disertare i seggi non riconoscendosi così nella chiamata al voto, ritenendo non giusto obbligare ad esprimersi sul quel tema specifico. Il vizietto di demonizzare chi non la pensa come te è, purtroppo, antica pratica italiana. Ha portato fin troppi guai: il recente passato lo dimostra. Ma c’è chi quella lezione non la vuole imparare mai.