Appena una settimana fa Vivian Silver guidava un corteo di duemila donne israeliane e palestinesi radunate in piazza per promuovere insieme la pace. Ora familiari e amici temono che l’attivista israeliana di origini canadesi, 74 anni, sia finita nelle mani di Hamas, tra le centinaia di ostaggi rapiti e portati a Gaza dopo l’attacco di sabato scorso.

Le ultime notizie che si hanno di lei risalgono a quella tragica mattina. Quando suo figlio l’ha contatta da Tel Aviv, la donna ha risposto dalla sua abitazione nel sud di Israele, a un passo dalla Striscia, nel Kibbutz Be'eri: Yonatan Zeigen aveva in programma di farle visita nel week end insieme alla famiglia, ma poi ha rimandato il viaggio all’ultimo momento. È rimasto al telefono con sua madre fino a quando non ha sentito “urla e spari fuori dalla sua finestra”. Ha interrotto la conversazione così che i miliziani non potessero sentirla, continuando a scriverle su WhatsApp. “Sono dentro casa”, recita l’ultimo messaggio di Vivian. Poi il silenzio totale. “Nessuno ci ha detto se i soldati israeliani fossero già arrivati ​​a casa sua. Quindi c’è la possibilità che sia morta lì. Ma da quello che sappiamo si trova a Gaza”, ha spiegato Yonatan al quotidiano canadese Globe and Mail.

In quelle ore, appena appresa la notizia, le ha scritto anche un’amica di vecchia data, Avital Brown. “Qui c'è il caos assoluto”, ha risposto Vivian alle 7:54 di sabato, secondo i messaggi condivisi con la testata canadese NBC News. “I terroristi si sono infiltrati in Be'eri. Ci sono spari e urla”. Poi ancora il silenzio. Anche sul telefono di Brown si è fatto largo il buio e l’angoscia. “È quasi surreale pensare che qualcuno che ha dedicato tutta la sua vita a costruire la pace, a porre fine all’occupazione, a togliere l’assedio di Gaza, venga rapito da Hamas”, ha commentato Ariel Dloomy, ex collega di Silver presso l’Arab-Jewish Center for Equality, Empowerment and Cooperation, di cui Vivian è stata cofondatrice e direttrice prima della seconda intifada. Ancora più surreale se si guarda alle immagini del 4 ottobre, tre giorni prima dell’offensiva di Hamas: Vivian sfilava tra le centinaia di donne venute da tutto il mondo per marciare tra le strade di Gerusalemme e della Cisgiordania, fino alla spiaggia di Neveh Midbar sul Mar Morto. Abito bianco e cartelli alla mano, le attiviste delle due associazioni israeliane e palestinesi, “Women Wage Peace” e “Women of the Sun”, hanno chiesto di potersi sedere al tavolo dei negoziati, di ricorrere alla diplomazia come unica arma per porre fine al conflitto israelo-palestinese. “Smettetela di uccidere i nostri figli”, è il grido delle “madri” riunite nel segno della pace.

Alla manifestazione si sono uniti diplomatici e politici di tutto il mondo, dalla Finlandia al Belgio, insieme alla rete di attivisti israeliani impegnati nelle zone di confine con Gaza. Vivian, nata a Winnipeg, in Canada, ne fa parte dalla fine degli anni ‘70, quando ha deciso di trasferirsi nello Stato ebraico, diventando un membro del Kibbutz Gezer. Per quasi 50 anni ha lavorato per migliorare la condizione dei palestinesi e creare una società condivisa tra ebrei e arabi. Prima impiegando questi ultimi nei lavori edili presso i kibbutz e garantendo loro pari guadagni, poi accompagnando i residenti di Gaza che necessitavano di cure negli ospedali israeliani.

Si è battuta per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere nella società israeliana. Nel 1990 si è trasferita nel Kibbutz Be'eri, e otto anni dopo è diventata direttrice esecutiva del Negev Institute for Strategies of Peace and Development, dove ha lanciato progetti di formazione professionale per la comunità araba locale. Nel 2010 ha ricevuto il premio Victor J. Goldberg per la pace in Medio Oriente. Nel 2014 ha contribuito alla fondazione dell’associazione Women Wage Peace, con la quale ha marciato per la prima volta nel 2017. “Dobbiamo cambiare il paradigma che ci è stato insegnato ormai da settant’anni, quando ci veniva detto che solo la guerra porterà la pace. Non ci crediamo più, è dimostrato che non è vero”, spiegò Vivian in quell’occasione alla stampa. E chi la conosce non ha dubbi: anche in queste ore drammatiche di sangue e orrore, il suo sarebbe un messaggio di pace e speranza. “Sono sicuro che nel profondo di lei – dice  Ariel Dloomy - sa come distinguere tra i terroristi e i civili di Gaza”.