Un flusso inarrestabile di profughi siriani sta attraversando in queste ore le frontiere tra Turchia e Grecia, ad ovest, e a Nord con la Bulgaria.

Centinaia di migliaia di disperati in fuga dai nuovi scontri in Siria tra le forze armate turche, entrate a Idlib, e l’esercito di Bashar al Assad, spalleggiato dalla colazione di alleati guidata dalla Russia.

Le porte verso l’Europa, finora chiuse, si sono spalancate. Il presidente Recep Tayyip Erdogan lo aveva minacciato e alla fine lo ha fatto: ha riaperto il confine lasciando passare gli sfollati, anzi ne ha incoraggiato lo spostamento dal territorio turco, venendo sostanzialmente meno all’accordo per il quale era stato copiosamente remunerato.

L’Unione europea nel 2016 aveva stanziato tre miliardi di euro di aiuti alla Turchia per farsi carico di tutti i migranti fermati sulla rotta verso l’Europa e per la gestione dei centri di accoglienza nel Paese.

L’intesa prevedeva che l’UE ne versasse altrettanti dopo che i primi tre fossero stati utilizzati. Inoltre una clausola stabiliva che per ogni siriano di ritorno in Turchia dalle isole greche, un altro, il cui nome fosse inserito nella lista di attesa dei corridoi umanitari, ottenesse i documenti necessari per entrare in Europa.

Ma l’ingranaggio si è inceppato mentre la seconda tranche dei soldi promessi, entro la fine del 2019, non è mai stata sbloccata. E cosi, in soli tre giorni, hanno lasciato la Turchia non meno di 120 mila persone.

«Abbiamo registrato la partenza di molte famiglie, per lo più dirette in Grecia, che erano nel campo. Nonostante questo la situazione resta di sovraffollamento - racconta Yonca Gurkan, una delle coordinatrici del campo profughi di Nizip di Antep in Turchia - E' necessario che l'Europa assicuri ininterrottamente risorse, competenze e solidarietà a sostegno della risposta ai flussi che stanno arrivando nel Paese europeo ma vanno anche mantenuti e intensificati gli aiuti alla Turchia che accoglie già milioni di rifugiati» l’esortazione dell’operatrice turca.

Se la situazione lungo i confini occidentali della Turchia e in Grecia costituiscono un elemento di forte preoccupazione, la catastrofe umanitaria in corso nella Siria nord occidentale, dove 950.000 sfollati interni sono bloccati nel territorio di Idlib, è un’emergenza altrettanto pressante.

«Da giorni Idlib è sotto attacco, ci sono decine di morti e centinaia di feriti - racconta Cristian Reynders, coordinatore delle operazioni di soccorso di Medici Senza Frontiere per la Siria nord- occidentale - Sono state colpite aree densamente popolate da civili, due scuole e due asili che ospitavano famiglie sfollate. Gli operatori di tre ospedali supportati da MSF vicino alla linea del fronte lavorano giorno e notte per assistere le ondate di feriti, molti arrivano in fin di vita. Altri già morti. Un’alta percentuale di feriti gravi sono bambini» conclude sconfortato Reynders. A denunciare attacchi indiscriminati sui civili nel governatorato di Idlib, oltre Msf, è anche l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria che attraverso un portavoce afferma che la nuova campagna di bombardamenti sulla popolazione inerme sia riconducibile all’esercito di Damasco e ai suoi alleati russi.

La fragile tregua in Siria è stata violata da tutte le parti in conflitto. Sono state registrate almeno 40 violazioni del cessate il fuoco solo nelle ultime 36 ore.

Un ulteriore fronte sta provocando un flusso di sfollati provenienti dal lato siriano delle Alture del Golan, zona dove sono operativi miliziani filo- iraniani, che combattono accanto alle truppe di Assad, obiettivi di raid israeliani.

Le operazioni militari nell’area vanno avanti da giorni, secondo l'Osservatorio siriano. Almeno tre gli attacchi registrati nei pressi della località di Hader da venerdì.

La settimana scorsa in una delle incursioni di Israele, che aveva lo scopo di uccidere un esponente di spicco del movimento sciita libanese filo- iraniano Hezbollah, identificato come Imad Tawil, è stata coinvolta anche un'auto civile, colpita da un missile terra - terra sparato dal territorio del Golan in direzione sud- ovest della Siria.

Una situazione sempre più complessa quella sul terreno siriano che vede milioni di persone in fuga. Non solo sfollati dal conflitto ma anche ex miliziani di Daesh che potrebbero rientrare nei paesi di origine.

Il rischio di un ripiegamento di combattenti in fuga dai teatri di guerra dello Stato islamico potrebbe riguardare anche l’Italia. A confermarlo la nostra intelligence che ritiene possibile l’ingresso, o quanto meno il transito nel nostro Paese di «stranieri connessi ad attori terroristici». La Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2019 presentata ieri in Parlamento. Non lascia adito a dubbi Un allarme concreto quello lanciato dai nostri servizi, che monitorano da tempo la situazione, che forse meriterebbe molta più attenzione di quanto sia stato finora.

Ma in queste ultime settimane l’unica emergenza al centro dell’interesse politico resta il contenimento del Covid- 19.