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I coloni israeliani nella Cisgiordania occupata sembrano ormai fuori controllo. Una serie di brutali attacchi contro agricoltori e villaggi palestinesi ha spinto persino il governo di Tel Aviv a prendere le distanze da comportamenti che rischi. La situazione è precipitata dall’inizio della settimana, quando una serie di episodi ha messo in difficoltà le autorità israeliane, rimaste finora in gran parte in silenzio o accusate di ambiguità nei confronti delle azioni dei coloni.
Ieri, nei pressi della città di Salfit, un gruppo di settlers ha preso di mira una moschea: all’ingresso è stato versato materiale infiammabile e sui muri sono comparse scritte razziste e offensive. Solo l’intervento tempestivo dei residenti ha evitato che l’incendio si propagasse causando danni maggiori. Martedì, altri coloni hanno attaccato i villaggi di Beit Lid e Deir Sharaf, incendiando quattro camion di latte, terreni agricoli e strutture abitative, tra baracche di lamiera e tende, appartenenti a una comunità beduina.
Muayyad Shaaban, funzionario dell’Autorità Nazionale Palestinese, sostiene che queste aggressioni fanno parte di una strategia mirata a spingere i palestinesi ad abbandonare le proprie terre, accusando Israele di offrire protezione e impunità. Tuttavia, negli ultimi giorni si sono verificati anche episodi insoliti: alcuni coloni hanno aggredito soldati israeliani, e un veicolo militare è stato danneggiato, probabilmente in seguito all’arresto di quattro sospetti da parte della polizia.
I settlers godono del sostegno politico ed economico delle fazioni di estrema destra, rappresentate da figure come il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, mentre l’esercito in passato ha spesso fornito un tacito supporto. La recente escalation, tuttavia, indica un salto di qualità nella pressione esercitata sulle comunità palestinesi, con un aumento della violenza diretta contro persone e proprietà.
Mentre il primo ministro Netanyahu mantiene un prudente silenzio, preoccupato dal fragile equilibrio della propria coalizione, le condanne sono arrivate da altri esponenti di primo piano. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha definito gli attacchi «scioccanti e gravi», sottolineando l’urgenza di fermare l’escalation. Anche il capo di stato maggiore Eyal Zamir ha dichiarato che Israele «non tollererà comportamenti criminali», affermando che con le ultime violenze «è stata superata una linea rossa». La pressione internazionale contribuisce a questo cambio di tono. Il segretario di Stato degli Stati Uniti, Marco Rubio, ha espresso preoccupazione per la recrudescenza delle violenze in Cisgiordania, avvertendo che potrebbero estendersi e compromettere gli sforzi diplomatici statunitensi a Gaza. «Faremo tutto il possibile per evitare un’espansione del conflitto», ha dichiarato, ribadendo la necessità che Israele eserciti un maggiore controllo sui coloni.
Le violenze dei coloni, tuttavia, non rappresentano un fenomeno improvviso. Secondo la Commissione per la Colonizzazione e la Resistenza al Muro (CRRC) dell’Autorità Palestinese, solo nell’ultimo mese si sono registrati 2.350 attacchi in tutta la Cisgiordania. Il presidente della CRRC, Mu’ayyad Sha’ban, ha riferito che 1.584 episodi hanno comportato aggressioni fisiche, demolizioni di case e sradicamenti di ulivi, con una concentrazione maggiore nei governatorati di Ramallah, Nablus e Hebron.
Gli attacchi tendono a intensificarsi durante la raccolta delle olive, tra settembre e novembre, un periodo vitale per l’economia di molte famiglie palestinesi. B’Tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, ha denunciato che i coloni attaccano i palestinesi «ogni giorno», sparando, picchiando, minacciando, lanciando pietre, incendiando campi, distruggendo alberi e raccolti, rubando prodotti, bloccando strade, invadendo case e bruciando veicoli.
Il moltiplicarsi di questi episodi dimostra quanto fragile sia l’equilibrio nei territori occupati. Se da un lato il governo israeliano deve rispondere alle pressioni internazionali, dall’altro deve fare i conti con la crescente radicalizzazione di una parte della società.
La condanna degli attacchi rappresenta un segnale importante, ma resta da capire se alle parole seguiranno azioni concrete, in grado di frenare un fenomeno che da troppo tempo alimenta sfiducia, paura e nuove tensioni in Cisgiordania.


