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La scorsa settimana, negli auditorium tirati a lucido del Ronald Reagan Building di Washington, migliaia di influencer, content creator, youtuber, giornalisti indipendenti, attivisti del web, militanti ed esponenti dell’ala liberal del Partito democratico hanno animato il convegno progressista Crooked Con.
Qualcosa di molto diverso da una kermesse politica tradizionale: «Ci rivolgiamo alle persone, arrabbiate, speranzose e stanche che credono che valga la pena lottare per un futuro migliore!», si legge sul sito dell’iniziativa. Una specie di incontro speculare ai celebri raduni motivazionali MAGA dove lo zoccolo duro del trumpismo celebra da anni la propria vitalità, mettendo in mostra tutto l’arsenale della propaganda che poi riversa sul web, un ecosistema mediatico ben collaudato che gli ha permesso di conquistare le giovani generazioni.
Tra gli animatori più seguiti di Crooked Con c’è Dan Pfeiffer — ex stratega di Obama, conduttore del podcast di successo “Pod Save America” che prova a tracciare il campo di battaglia: «È finita l’epoca dei messaggi unici e dei grandi pubblici televisivi; oggi esistono milioni di micro-pubblici, ognuno con il suo linguaggio e le sue ossessioni. Dovete essere ovunque, andarli a scovare, non si tratta di imitare il trumpismo ma capire i codici della politica contemporanea che è diventata iper-individualizzata». Durante il suo intervento, Pfeiffer ha ricordato come nel 2008 la campagna di Obama fosse considerata una rivoluzione tecnologica, «ma oggi sarebbe antiquata; oggi devi saper fare un reel, devi spiegare in fretta non in un comizio di un’ora e mezza».
In molti tra cui Ken Martin, presidente del Comitato Nazionale Democratico, citano il neo sindaco di New York Zorhan Mamdani che ha umiliato il vecchio leone dem Andrew Cuomo con una campagna elettorale tutta giocata sulle piattaforme di social media e rivolta a un pubblico giovane e “fluido” che si informa su Tik Tok e youtube e che ignora la Cnn e il New York Times.
Il senatore dell’Arizone Ruben Gallego, molti vicino alla corrente radicale di Alexandria Ocasio Cortez parla di «guerra culturale» spiegando che un tempo la sinistra era capace di parlare agli elettori: «Dobbiamo tornare tra la gente, ma bisogna farlo in modo furbo e moderno, trasmettere vibrazioni invece di dettagliare noiosamente i programmi, non c’è niente di male nel rendere interessante la politica».
Se è giusto che la sinistra impari a usare gli strumenti della comunicazione contemporanea, affrontare l’universo MAGA con le sue stesse armi comporta un pericolo molto chiaro. Non solo il rischio di scivolare nell’invettiva permanente o nel sensazionalismo, ma quello — più profondo — di adottare inconsapevolmente le logiche della disinformazione come strumenti legittimi di battaglia politica, di piegare i fatti ai propri interessi. Essere complottisti come i complottisti, diffondere semplificazioni come antidoto alle semplificazioni, rispondere a una narrazione tossica con una narrazione altrettanto deformata può sembrare, nell’immediato, una contromisura efficace per guadagnare qualche voto. Ma nel lungo periodo contribuisce a erodere le basi stesse della fiducia democratica.
Un segnale di questa deriva è arrivato, proprio negli stessi giorni del Crooked Con, da un caso che ha fatto scalpore: la BBC ha ammesso di aver montato un intervento di Donald Trump accostando frasi pronunciate in momenti diversi, creando l’impressione che avesse incitato i suoi fan ad assaltare il Congresso (come è poi accaduto). Un fatto gravissimo che ha provocato le immediate dimissioni dei responsabili dell’informazione, una crisi senza precedenti per il broadcast britannico e forse per tutto il sistema dell’informazione democratica.


