Dalla Corte suprema di Stoccolma arriva una sonora sberla al “sultano Erdogan” che si vede negare l’estradizione del giornalista curdo Bulent Kenes. Una decisione che avrà importanti conseguenze geopolitiche, non solo nelle relazioni tra i due Paesi, ma anche per gli assetti a medio termine dell’Alleanza atlantica.

Nel giugno scorso Svezia e Finlandia avevano domandato l'adesione alla Nato dopo decenni di neutralità. La fuga in avanti è dovuta al timore che la Russia in piena invasione dell'Ucraina arrivi a lambire i confini dei due paesi nordici con cui ha rapporti non proprio idilliaci.

L'ingresso, salutato con grande favore dai componenti dell'Alleanza Atlantica, ha incontrato l'opposizione della Turchia (anch’ essa membro della Nato) decisa a giocare un ruolo di primo piano come mediatore fra il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo ucraino Volodymir Zelensky e approfittare di questa posizione per cercare di lucrare il più possibile relativamente ai suoi interessi geostrategici e nella stessa politica interna.

Erdogan infatti pose come condizione per l'adesione di Svezia e Finlandia la consegna di alcuni oppositori curdi e turchi riparati in esilio in Svezia che Ankara considera terroristi. Si tratta di almeno 73 persone che, in seguito all'accordo raggiunto con gli altri partner occidentali, sarebbero dovuti tornare in patria per essere processati e quasi sicuramente incarcerati.

Ora però il primo trasferimento fra questi, l'unico richiesto espressamente per nome e cognome, da Erdogan è stato bloccato dalla Corte suprema svedese.

Il 53enne Bulent Kenes, che lavora per il Centro per la libertà di Stoccolma da sempre critico nei confronti di Erdogan, al momento non sarà dunque estradato. Con ciò viene rimessa in discussione la richiesta chiave di Ankara per ratificare l'adesione di Stoccolma alla NATO.

La Corte suprema di Stoccolma avrebbe ravvisato diversi ostacoli alla consegna di Kenes non ritenendo suffragate da prove concrete le accuse che gli sono rivolte dai magistrati e dal governo turco.

La Turchia accusa l'ex caporedattore del quotidiano Zaman di essere coinvolto nel presunto tentativo di golpe del 2016 per rovesciare il presidente Erdogan senza specificare il suo ruolo. Per gli alti giudici svedesi queste accuse non possono essere considerate crimini, inoltre la natura politica del caso e lo status di rifugiato che Kenes ha ottenuto nel paese scandinavo, rendono l'estradizione molto improbabile anche dopo eventuali ricorsi.

Il giudice della Corte suprema Petter Asp ha infatti spiegato che il rischio di persecuzione politica per i pensieri di Kenes non consente il ritorno in Turchia. Il giornalista, che attualmente collabora con un'associazione fondata da altri dissidenti turchi in esilio, si è detto felice e ha sottolineato che le accuse contro di lui sono state fabbricate dal regime di Erdogan.

Kenes era stato indicato ancora ai primi di novembre nel corso di una conferenza stampa congiunta tra il leader turco e il primo ministro svedese Ulf Kristersson, Stoccolma aveva però ripetutamente sottolineato che la sua magistratura è indipendente e ha l'ultima parola proprio sulle estradizioni.

Si apre dunque un contenzioso delicato tra Turchia e Svezia nel quale non potrà non essere coinvolta anche la Nato in un passaggio complicatissimo della sua storia, con il Cremlino che ha portato la guerra nel cuore dell’Europa.

Erdogan infatti potrebbe riproporre la sua ostilità in seno all'Alleanza e giocare l'arma fornita dalla sua opera di mediazione nel conflitto russo ucraino. La richiesta di Ankara per Svezia e Finlandia e quella di completare i cambiamenti legislativi il prima possibile riguardantii rifugiati politici che definisce terroristi. Il memorandum d'intesa però non conteneva, se non come vaga possibilità, alcun impegno preciso per estradizioni specifiche. Ora si attende la reazione del “sultano”.