Fino alla bocciatura di Sylvie Goulard da parte del Parlamento europeo, nei corridoi dell’Ecofin i ministri dell’Economia si ripetevano stancamente un “mantra” degli anni passati: non sono i governi che fanno il Pil. Una formula auto- assolutoria che salvava loro l’anima di fronte agli elettorati del Continente ( mantra che risuonerà ancora più alto la prossima settimana a Washington, in occasione dell’assemblea del Fondo monetario).

Con la bocciatura della Goulard, il quadro di riferi- mento della finanza pubblica europea è destinato ( rischia) mutamenti rapidi. O, comunque, a subire scossoni. La candidata francese alla Commissione europea è stata bocciata per i voti dei socialisti e dei popolari: le due grandi famiglie politiche europee, il cui assetto e consistenza numerica è stata minacciata dall’arrivo di Macron. Pertanto, dopo aver sconfitto i sovranisti nelle urne, Popolari e Socialisti hanno regolato i conti anche con i parvenue di Renew Europe, il gruppo europeo animato da En Marche e consolidato dai liberali. Non a caso l’Eliseo precisa che la bocciatura è «un gioco politico che riguarda la Commissione europea nel suo insieme».

Il vero sconfitto dalla bocciatura della Goulard, però, non è Macron che l’aveva candidata. Bensì la Germania. La Francia ha già portato a casa la presidenza della Bce con Christine Lagarde. Sarà Berlino a subire maggiormente il contraccolpo; soprattutto per le politiche di bilancio. In primo luogo, perché la presidente tedesca della Commissione ha perso per strada il sostegno ( risicato) con cui era stata eletta.

Lo stesso Parlamento che ha bocciato la Goulard ha mandato in minoranza la Von der Leyen. In seconda battuta, perché Macron cavalcherà la sconfitta della Goulard per spingere la Germania ad accogliere la modifica di quelle regole Ue che stanno strangolando l’economia europea. Ma proprio le regole europee, interpretate per gli amici ed applicate ai nemici, hanno favorito la crescita del surplus di bilancio tedesco. Una loro modifica, pertanto, sarebbe una sconfitta per Berlino.

Ma dopo il ripiegamento in chiave negativa della congiuntura europea e mondiale, e le ripercussioni politiche del voto del Parlamento europeo di ieri, le pressioni sulla Germania aumenteranno in modo consistente. Soprattutto dopo l’assemblea del Fondo monetario, che fotograferà una situazione di pesantezza economica globale. In questo quadro, il profilo della Legge di Bilancio tratteggiato con la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza sembra quasi ispirato alla preveggenza. Politica e tecnica.

Politica, perché la maggioranza giallorosè ( giallorossa è una cromaticità troppo nobile, può generare confusione) non appare così granitica. L’aula di Montecitorio ha approvato con solo 3 voti di scarto la risoluzione sulla Nadef. Il percorso parlamentare della manovra, pertanto, si mostra alquanto accidentato.

Ma la preveggenza il governo l’ha mostrata soprattutto da un punto di vista tecnico: applicando alla lettera il mantra europeo che non sono i governi a fare il Pil. Al di là dei numeri scritti, il governo sa benissimo che non saranno gli interventi indicati nella Legge di Bilancio che potranno modificare in modo sostanziale il dato sulla crescita. Tant’è che il presidente del Consiglio insiste, in modo non proprio originale, sul principio triennale della manovra.

Ogni volta che un governo non riesce a dare risposte sul fronte dei conti pubblici assicura che gli effetti positivi si svilupperanno in un ambito triennale. Un atto di fede chiesto dal governo agli elettori- contribuenti. Di solito, però, formule di comunicazione di questo tipo non hanno mai portato fortuna a chi, pro tempore, occupava Palazzo Chigi.

E qui arriva la preveggenza tecnica. Il governo ha presentato una manovra di “mantenimento” con la speranza che lo scontro politico europeo sulla modifica delle regole di bilancio inneschi una revisione delle regole tale da poter staccare un dividendo per la crescita in un futuro non troppo lontano. Lo scorporo dal deficit delle spese per gli investimenti ambientali avrebbe un minimo impatto sull’indebitamento nazionale, vista l’incapacità di spesa delle amministrazioni centrale e periferiche.

In altre parole, a fronte di una manovra che nemmeno tenta di animare la crescita, il governo confida che nella prossima primavera possano essere accantonati una serie di parametri fiscali che bloccano una vera riforma fiscale in grado di migliorare il potere d’acquisto degli elettori- contribuenti. In fin dei conti, è molto sottile il confine tra preveggenza e scommessa.