La 16° Sezione della Corte di Cassazione turca ha confermato le pesanti condanne a carico dei 18 avvocati dell’Associazione Avvocati Progressisti ( Çhd), di cui faceva parte Ebru Timtik, la legale turca morta il 27 agosto dopo 238 giorni di sciopero della fame. Per lei, per sua sorella Barkin e per il presidente dell’associazione Selgiuk Kosaacli, la Corte ha ribaltato la sentenza di appello, mentre ha confermato la condanna per gli altri 14 imputati.

Tra questi anche l’avvocato Aytac Unsal, condannato in appello a 10 anni e sei mesi di detenzione con l’accusa di terrorismo e scarcerato temporaneamente il 3 settembre a causa delle gravi condizioni di salute in cui versava dopo oltre 200 giorni di digiuno. L’associazione era stata messa fuori legge con i decreti emergenziali del 2018: i 18 avvocati progressisti erano stati condannati a 189 anni di carcere complessivi, con pene variabili da un minimo di 3 anni fino a 19 anni di reclusione, per presunti reati di terrorismo. Il loro processo è stato caratterizzato da gravissime violazioni delle più elementari regole processuali e del diritto di difesa, come accertato anche da una missione internazionale di avvocati, provenienti da sette paesi europei, a cui ha partecipato il Cnf, che si è recata nell’ottobre del 2019 anche presso il carcere di Sliviri, a Istanbul, dove era detenuta Ebru Timtik.

L’accusa, infatti, si basava esclusivamente sui cosiddetti “testimoni segreti”, la cui identità è sconosciuta, impedendo un reale contraddittorio. Le violazioni erano state tali e tante che era legittimo aspettarsi che la Cassazione non potesse sostenere simili ingiustizie. Ma così non è stato. Ora ai condannati non resta che la Corte Costituzionale, se del caso, e poi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Intanto, il clima di repressione in Turchia si fa sempre più grave. La notizia dell’ennesima rappresaglia nei confronti degli avvocati, con l’arresto di 55 legali accusati di terrorismo da parte della procura di Ankara nell’ambito dell’indagine “Feto” ( di cui si parla in altro servizio del Dubbio ndr), ha provocato la dura reazione di istituzioni e associazioni forensi che condannano la sistematica criminalizzazione della professione forense. Molti ordini degli avvocati, tra cui quello di Ankara, Instanbul, e Smirne, hanno denunciato l’arbitrarietà degli arresti, seguiti a persequisizioni illegali e atti intimidatori.

«Forte preoccupazione e massima solidarietà all’Avvocatura turca» è stata espressa anche dal presidente della commissione Giustizia della Camera e deputato M5s, Mario Perantoni, in seguito all’ultima “retata” del 12 settembre.

«L’avvocatura - commenta Perantoni - è un baluardo del diritto, guardiana dei principi fondamentali della civiltà giuridica e l’azione di massa contro gli avvocati turchi deve scuotere le coscienze, perchè non si può essere colpevoli di svolgere la propria professione in maniera indipendente. Questi arresti hanno tutto il sapore di una ritorsione per il lavoro svolto in difesa di sospetti affiliati alla presunta rete golpista di Fethullah Gulen».