Anno 2019. Mentre l’allora Dap guidato da Basentini parlava di “sovraffollamento virtuale” delle carceri – tesi sostenuta da articoli di alcuni giornali come Il Fatto Quotidiano -, con una ordinanza il tribunale di sorveglianza de l’Aquila ha riconosciuto un risarcimento al detenuto Cosimo Commisso di 4.568 euro per le condizioni disumane e degradanti per il sovraffollamento subito. Nel 2020, il ministero della Giustizia ha fatto ricorso in Cassazione, che, con la sentenza numero 6551, l’ha ritenuto infondato.

Ripercorriamo gli eventi. Con ordinanza del 2 aprile 2019 il tribunale di Sorveglianza de L'Aquila ha rigettato il reclamo proposto dal ministero della Giustizia avverso al provvedimento del magistrato di Sorveglianza di L'Aquila che, in parziale accoglimento dell'istanza presentata da Cosimo Commisso, aveva liquidato in suo favore la somma di 4.568 euro. Il magistrato di Sorveglianza aveva riconosciuto che la detenzione di Commisso nelle Case Circondariali di Pianosa, Palmi, Reggio Calabria, Carinola, Napoli Poggioreale e Larino, per un periodo di 4.571 giorni, si era svolta in condizioni tali da violare l'art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali come interpretata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

QUANDO LO SPAZIO RISERVATO AL DETENUTO È INFERIORE A TRE METRI QUADRATI

Il ministero della Giustizia, richiamando la sentenza della Cedu, GC, 20/ 10/ 2016, Muri e c. Croazia, aveva censurato l'ordinanza per l'adozione di un erroneo criterio di calcolo della superficie detentiva media goduta dal detenuto, che era stata determinata al netto dello spazio occupato dagli arredi, mentre avrebbe dovuto esserlo al lordo; il diverso metodo di calcolo avrebbe dovuto indurre il magistrato di Sorveglianza a respingere l'istanza con riferimento ad alcuni periodi di detenzione trascorsi nelle Case Circondariali di Palmi e Carinola. Il tribunale di Sorveglianza, ricordando che le condizioni di eccessivo sovraffollamento carcerario integrano una forma di detenzione inumana, ha richiamato il principio affermato dalla sentenza della Cedu, 16/ 07/ 2009, Sulejmanovic c. Italia, in base al quale sussiste una presunzione di violazione dell'art. 3 della Cedu, quando lo spazio personale riservato al detenuto è inferiore a tre metri quadrati, con la conseguenza che non è necessario prendere in considerazione altri aspetti della condizione detentiva.

SECONDO IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA GLI ARREDI NON VANNO CALCOLATI

Secondo l'ordinanza, poiché la superficie di tre metri quadrati costituisce uno spazio destinato a permettere il movimento della persona, gli arredi fissi presenti nella cella devono essere scomputati dal calcolo, costituendo un ingombro che lo impedisce; in particolare, deve essere detratto dal calcolo l'ingombro dei letti (singoli o a castello), mentre gli arredi non fissi, quali sgabelli e tavolini, non devono essere considerati. Applicando questi principi alle condizioni di detenzione di Commisso nelle Case Circondariali di Palmi e Carinola, il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto che la superficie pro capite delle celle fosse inferiore a tre metri quadrati.

PER LA CASSAZIONE LA DETENZIONE NON DEVE ECCEDERE L’INEVITABILE SOFFERENZA

Ed ecco che il ministero della Giustizia ricorre per Cassazione, deducendo una violazione di legge e non corretta interpretazione degli articoli 35 e seguenti dell’ordinamento penitenziario, anche con riferimento alle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. In sostanza, secondo il ricorrente, l'interpretazione adottata dal tribunale di Sorveglianza è difforme dall'insegnamento della Cedu che, ai sensi dell'art. 35 ter dell’ordinamento, è vincolante per il giudice nazionale. Il ministero, quindi, ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata.

I giudici della Cassazione ci tengono ad imporre una doverosa premessa. Ovvero che la condizione di detenzione non comporta per il soggetto ristretto la perdita delle garanzie dei diritti affermati dalla Convenzione che, al contrario, assumono specifica rilevanza proprio a causa della situazione di particolare vulnerabilità in cui si trova la persona. Viene sottolineato che, secondo la consolidata giurisprudenza della Cedu, l'art. 3 della Convenzione, una pena, pur legalmente inflitta, può tradursi in una violazione della Convenzione qualora comporti una compressione dei diritti convenzionali non giustificata dalle condizioni di restrizione. In altri termini, le modalità di esecuzione della restrizione in carcere non devono provocare all'interessato un'afflizione di intensità tale da eccedere l'inevitabile sofferenza legata alla detenzione. Ciò coerentemente con il criterio della cosiddetta soglia minima di gravità, costantemente utilizzato dalla Cedu per selezionare le condotte messe al bando ai sensi dell'art. 3 della Convenzione.

RICORDATI I TRE METRI EFFETTIVI DELLA SENTENZA TORREGGIANI

Viene anche ricordata la sentenza Torreggiani, la quale ha affermato che, in presenza di una situazione di sovraffollamento carcerario, uno spazio inferiore a 3 metri quadrati effettivi, detratti gli arredi fissi dal computo dello spazio disponibile, può costituire l'elemento centrale da prendere in considerazione per valutare la violazione dell’articolo 3 della Cedu.

I giudici, osservando anche altre sentenze della Corte europea, sottolineano che per i detenuti all'interno di una cella, mentre il tavolino, le sedie, i letti singoli possono essere spostati da un punto all'altro della camera (sono, quindi, "mobili"), non altrettanto può dirsi per gli armadi o i letti a castello, sia a causa della loro pesantezza o del loro ancoraggio al suolo o alle pareti, che dalla difficoltà di loro trasporto al di fuori della cella. Quindi, per il calcolo dei metri quadrati, bisogna escludere lo spazio occupato dagli arredi fissi. Non solo. Altro elemento da prendere in considerazione, è che se esistano o meno i "fattori compensativi", ovvero la possibilità di compensare il disagio dello spazio troppo stretto con la libertà di movimento fuori dalla cella o la breve durata della detenzione.

ANCHE ALTRI ELEMENTI INCIDONO SULLA VALUTAZIONE DEL MAGISTRATO

Per valutare l’esistenza del trattamento disumano o degradante, non basta solo il discorso dello spazio, il magistrato di sorveglianza deve anche esprimere una valutazione globale delle condizioni di detenzione tenendo conto di tutti i fattori, positivi e negativi, così come richiesto dalla Cedu. Tali fattori sono indicati nella mancanza di accesso al cortile o all'aria e alla luce naturale, nella cattiva areazione, in una temperatura insufficiente o troppo elevata nei locali, nell'assenza di riservatezza nelle toilette, nelle cattive condizioni sanitarie e igieniche. Da sottolineare che, nella prospettiva della violazione dell'art. 3 Cedu, non è richiesta la contestuale presenza di tutti i fattori negativi. Infatti, nell'istanza presentata ai sensi dell'art. 35- ter ordinamento penitenziario, il detenuto può porre a fondamento della domanda risarcitoria, oltre alla detenzione in celle collettive con uno spazio individuale inferiore a quattro metri quadrati, anche alcuni dei fattori negativi sopra indicati.

Ecco perché il ricorso del ministero della Giustizia viene rigettato. Non solo perché è fondato su una diversa modalità di computo dello spazio minimo individuale. Ma anche perché, viene rimarcato dai giudici della Cassazione, la violazione di diversa natura riscontrata in un istituto (mancanza di riservatezza rispetto ai servizi igienici) non viene contestata dal ricorrente e, quindi, non può formare oggetto di valutazione.