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La disastrosa missione del Titan nelle profondità dell’Oceano Atlantico ha aperto la discussione sull’opportunità di un viaggio negli abissi che ha unito ricerca, sperimentazione di un nuovo sommergibile e vezzo per ricchi. A tutto ciò si aggiungano i risvolti legali, immancabili anche in occasione di un incidente del genere.
La OceanGate, proprietaria del Titan, potrebbe essere oggetto di richieste risarcitorie. I cinque componenti dell’equipaggio - compreso il Ceo di OceanGate, Stockton Rush - hanno firmato una liberatoria e dichiarato di assumersi i rischi di «danni fisici, disabilità, traumi emotivi», senza neppure escludere l’evento più grave: la morte.
Uno dei più importanti civilisti ed esperti di diritto assicurativo degli Stati Uniti, Kenneth Abraham, professore dell’Università della Virginia, ha dichiarato alla Nbc, come riporta il Corriere della Sera, che, a prescindere dalla sottoscrizione delle liberatorie, un’azienda negli Usa è responsabile in base alle leggi di riferimento dello Stato in cui opera, tenendo conto pure dell’interpretazione del giudice chiamato a pronunciarsi. Per l’incidente occorso al Titan, dunque, la legge federale marittima dovrebbe essere chiamata a valutare la validità o meno delle liberatorie. «Nella maggior parte degli Stati – ha spiegato Abraham – queste liberatorie di OceanGate sarebbero valide e vincolanti anche per le famiglie».
Salvatore Sica, ordinario di Diritto privato nell’Università di Salerno, condivide l’impostazione del collega statunitense. «Il tema della responsabilità – dice al Dubbio - va considerato diversamente in relazione al contesto contrattuale a cui si riferisce. Una clausola di esonero da responsabilità, in rapporto, per esempio, tra un produttore, un distributore o un consumatore, certamente non sarebbe opponibile e sarebbe nulla in radice. Il modello americano di responsabilità civile ha confini ancora più rigorosi rispetto al nostro ordinamento giuridico. Va detto pure che siamo di fronte ad un contratto che fuoriesce dal normale ambito del consumerismo. Si tratta di contratti che prendono in considerazione prestazioni particolari e speciali»
Un eventuale giudizio non potrà non tenere conto, quindi, delle clausole introdotte. «È molto probabile – evidenzia Sica - che la teoria dell’accettazione del rischio prevalga, a meno che non si sia preso in considerazione un altro profilo, vale a dire se la prestazione sia stata presentata come non del tutto priva di rischi, ma con la previsione di tutti gli standard di sicurezza. Io credo comunque che possa sorgere una questione di responsabilità. Bisogna distinguere anche l’impressione che mediaticamente porta qualcuno ad accettare una attività pericolosa, come quella della partecipazione ad una missione negli abissi, con consapevolezza. Se è stato garantito uno standard di sicurezza elevato ed è stato rappresentato un rischio altrettanto elevato, secondo me, la clausola di esonero di responsabilità potrebbe essere inopponibile alle famiglie delle vittime del Titan».
Snodo rilevante è altresì l’inquadramento della prestazione fornita e chi è chiamato ad adempiere. «Con il nostro ordinamento – aggiunge Sica - si tratterebbe di una responsabilità contrattuale, graverebbe sul convenuto la dimostrazione di aver assolto alle misure di sicurezza più avanzate possibili e si potrebbe applicare uno standard di prestazione esigibile più elevato. Chi svolge un servizio, come quello di organizzare delle missioni negli abissi oceanici, pur nella consapevolezza dei diretti interessati di avventurarsi in una impresa con un tasso di rischio molto elevato, non sarebbe esonerato dalla responsabilità. Nel modello americano, invece, una gestione su base contrattuale del rischio assunto è più ammissibile. Non si applicherebbe inoltre una disciplina consumeristica, perché non siamo di fronte ad un normale rapporto tra il consumatore, il produttore o il fornitore di un servizio».
Infine, un altro tema che potrà essere considerato per eventuali contenziosi riguarda quanto «convenzionalmente stabilito». «L’implosione del sommergibile – conclude il professor Salvatore Sica - è avvenuta per cause non prevedibili, secondo lo standard più avanzato di sicurezza esigibile per quel tipo di attività. Non escluderei un concorso di responsabilità. È responsabile il convenuto. Ma è anche vero, se rappresentato correttamente il rischio, che c’è una cooperazione colposa della vittima. Quest’ultima ha comunque accettato che potesse esservi una precipitazione degli eventi e un esito negativo della missione». Una cosa è probabile in merito al fallimento della missione del Titan: una verità processuale prima o poi verrà a galla.