C’è un giovane pittore cinese che vive a Milano, dove si è trasferito nel 2015 per studiare arte, dietro l’account del gattino "Li Teacher" diventato cruciale per avere informazioni sulle proteste in Cina. «Continuo a pubblicare quello che la gente dice, senza fermarmi», ha raccontato, in un’intervista al Washington Post, il 30enne Li Ying, spiegando che riceve costantemente messaggi su Twitter ed altri social di mobilitazioni ed altre notizie che non verrebbero mai riportate dalla stampa cinese. «Pubblico le informazioni, e poi torno a controllare il mio inbox», aggiunge il giovane che trascorre 10 ore al giorno sui social, controllando le notizie che riceve per poi ripubblicarle sul suo account. Un’attività che si è intensificata in queste ultime settimane, quando ci sono state proteste di una portata che non si aveva da decenni contro la politica Zero Covid. E con la censura cinese attivissima a bloccare i riferimenti online delle proteste, l’account Twitter di Li è diventato uno dei canali principali di diffusione di immagini e notizie a riguardo. Non mancano i pericoli anche per il giovane artista che vive in Italia, che online usa lo pseudonimo Teacher Li, ma ha deciso di farsi intervistare dal giornale americano con il suo nome, nel tentativo di proteggersi da rappresaglie da parte delle autorità cinesi che hanno iniziato ad intimidire i suoi genitori. La polizia li ha esortati a chiedere al figlio di smettere, arrivando anche a telefonare a casa ogni volta che Li pubblica un tweet. Senza contare che ora Li è preoccupato per il fatto che tra sei mesi il suo passaporto scadrà, ma ha paura a tornare a casa per rinnovarlo o andare all’ambasciata cinese in Italia: «Naturalmente, non oso andarci». La sua carriera di "citizen journalist" è iniziata per caso: arrivato in Italia per studiare arte, ha iniziato a pubblicare piccole storie a fumetti sul microblog Weibo. A questo punto la gente ha iniziato a mandare le proprie storie, che lui ha pubblicato, molte delle quali cominciarono a toccare temi sociali. Così le autorità hanno iniziato a bloccare il suo account Weibo che è stato chiuso 52 volte, ma ogni volte Li lo riapriva ed i follower aumentavano. «La gente si era abituata a raccontarmi le cose», spiega. Quando non è stato più possibile aprire nuovi account sui Weibo, Li è passato la scorsa primavera a Twitter, rimanendo colpito da quanti cinesi usino la piattaforma che è ufficialmente bloccata ed accessibile solo attraverso network per Pechino illegali. A novembre ha iniziato a twittare sulle proteste contro le limitazioni Covid nella fabbrica Foxconn di Zhengzhou, dove metà degli iPhone di tutto il mondo vengono prodotti. E così sul suo account è cominciato ad arrivare un flusso costante di notizie su questa ed altre proteste. Nella notte del 27 novembre, quando sono esplose le proteste in decine di città, riceveva circa 20-30 messaggi al secondo. Così ha pubblicato le foto degli studenti che protestavano in silenzio con i fogli bianchi in mano, che hanno fatto parlare della «White Paper Revolution». «È stata come una valanga, che cresceva su se stessa - racconta Li - la gente sa che non si possono far circolare in altro modo queste notizie. E anche se provano a mettermi a tacere, il fatto che posso ogni volta recuperare tutti questi follower mostra il potere di Internet». «Più che per la mia sicurezza personale mi preoccupo per la sicurezza del mio account perché questo significa che molto per i cinesi in tutto il mondo - conclude - tutto quello che posso fare è andare avanti, non penso che dovrei esserlo a farlo, ma alla fine lo faccio. Non so quello che mi succederà in seguito, ma ora abbiamo raggiunto questo punto, possiamo solo vedere dove andrà a finire».