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Banchetti per il referedum sul fine vita promosso dall'Associazione Coscioni
Donatella (nome di fantasia) è una donna veneta di 76 anni, affetta da una grave patologia neurodegenerativa. Per le continue e intollerabili sofferenze, il 6 settembre 2024 ha presentato formale richiesta alla propria azienda sanitaria per verificare la sussistenza dei requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato-Dj Fabo) della Corte costituzionale, con l’obiettivo di accedere legalmente in Italia al suicidio medicalmente assistito.
Tuttavia, solo dopo una diffida legale inviata nel febbraio 2025, l’Asl ha trasmesso la relazione della commissione medica multidisciplinare, la quale ha confermato che Donatella è capace di autodeterminarsi, soffre per una patologia irreversibile e con sofferenze non altrimenti trattabili, ma non è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Questa ultima condizione è stata utilizzata dall’Asl per negare l’accesso alla procedura, nonostante la donna dipenda totalmente dai caregiver per ogni attività vitale quotidiana.
«Senza assistenza, Donatella non potrebbe alimentarsi, bere o assumere farmaci. Morirebbe tra atroci sofferenze», spiega Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, che segue il caso con un ampio collegio difensivo. La stessa Asl, secondo la legale, riconosce nella sua relazione la totale dipendenza della donna, ma non ne trae le dovute conseguenze giuridiche.
Per contrastare questo diniego, i legali della donna hanno presentato opposizione formale, accompagnata da una consulenza medica dell’anestesista Mario Riccio, noto per aver seguito il caso Piergiorgio Welby. Secondo la difesa, il rifiuto dell’Asl si fonda su una interpretazione restrittiva e illegittima della sentenza 135/2024 della Consulta, che avrebbe ampliato le condizioni per l’accesso al suicidio assistito.
Il giorno successivo alla diffida, il direttore sanitario dell’Asl ha chiesto una nuova valutazione al presidente del Comitato etico, anziché alla commissione medica. Si attende ora l’esito della procedura.
Secondo Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, il caso dimostra l’urgenza di una legge nazionale: «Non è accettabile che persone sottoposte a sofferenze insopportabili debbano attendere oltre cinque mesi per una risposta. Serve una normativa che garantisca tempi certi e uniformi in tutta Italia». Cappato chiede alla Regione Veneto di seguire l’esempio della Toscana, dove è tornata in discussione la proposta di legge regionale “Liberi Subito” per l’applicazione concreta dei diritti sanciti dalla Consulta.