La lotta a reati gravi non giustifica la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione riguardanti le comunicazioni elettroniche: lo ha stabilito il 5 aprile la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Questa sentenza, a cui gli Stati membri della Ue dovranno ora adeguarsi, arriva dopo quella del 2 marzo 2021, secondo la quale i dati telefonici e telematici possono essere acquisiti solo in procedimenti che riguardano reati gravi o minacce gravi e l'atto è subordinato all'autorizzazione di un giudice terzo.

Il caso

È stata la Corte suprema irlandese a interrogare la Cgue nell’ambito di un procedimento civile promosso da una persona condannata nel 2015 all’ergastolo per l'omicidio di una donna. L’interessato ha contestato al giudice di primo grado di avere erroneamente ammesso come elementi di prova i dati relativi al traffico e i dati relativi all’ubicazione afferenti a chiamate telefoniche.

La sentenza

La Corte di Giustizia, riunita in grande sezione, in primo luogo ha confermato «la propria costante giurisprudenza secondo la quale il diritto dell’Unione osta a misure legislative che prevedano, a titolo preventivo, la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione afferenti alle comunicazioni elettroniche, per finalità di lotta ai reati gravi». In particolare la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche sancisce, in particolare, il principio del divieto della memorizzazione dei dati relativi al traffico e all’ubicazione. La conservazione di tali dati costituisce quindi, da un lato, una deroga a tale divieto di memorizzazione e, dall’altro, un’ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, sanciti dagli articoli 7 e 8 della Carta» dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Inoltre «la criminalità, anche particolarmente grave, non può essere equiparata a una minaccia per la sicurezza nazionale» .

È invece ammessa la conservazione mirata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all'ubicazione in funzione delle categorie di persone interessate o mediante un criterio geografico, la conservazione generalizzata e indifferenziata degli indirizzi Ip e dei dati relativi all'identità civile degli utenti di mezzi di comunicazione elettronica e la conservazione rapida dei dati relativi al traffico e di quelli relativi all'ubicazione.

Tuttavia, la Corte precisa, poi, che tutte le summenzionate misure legislative devono garantire che la conservazione dei dati sia subordinata al rispetto delle relative condizioni sostanziali e procedurali e che le persone interessate dispongano di garanzie effettive contro il rischio di abusi.

La Corte, in secondo luogo, ha ricordato che l’accesso delle autorità competenti ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione conservati deve essere subordinato ad un controllo preventivo da parte di un giudice o di un organo amministrativo indipendente.

Infine, in terzo luogo, la Corte ha confermato «la propria giurisprudenza secondo cui il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale limiti nel tempo gli effetti di una declaratoria di invalidità a esso spettante, in forza del diritto nazionale, nei confronti di una normativa nazionale che impone ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione, a causa dell’incompatibilità di tale normativa con la direttiva «relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche».

Ciò premesso, la Corte ricorda che l’ammissibilità degli elementi di prova ottenuti mediante una siffatta conservazione, conformemente al principio di autonomia procedurale degli Stati membri, rientra nel diritto nazionale, fatto salvo il rispetto, in particolare, dei principi di equivalenza e di effettività.

L'analisi

Per il professor Giorgio Spangher, emerito di diritto processuale penale all'Università La Sapienza di Roma, «questa sentenza sancisce la fine del regime dei tabulati: bisognerà cambiare radicalmente la loro disciplina in Italia, sul modello delle intercettazioni, come riconosciuto dalla sentenza della Consulta 38/ 2019 in relazione all'art. 68 Cost. Anche i tabulati sono divenuti nel tempo strumenti molto invasivi in termini di riservatezza, privacy, geolocalizzazione e non è più possibile mantenere quella distinzione ontologica con le intercettazioni sancita con una sentenza della Corte Costituzionale del 1991».

Nel nostro Paese - ci spiega - «la conservazione dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione riguardanti le comunicazioni elettroniche è appunto indiscriminata, effettuata attraverso una pesca a strascico, estesa fino a sei anni, in chiave preventiva rispetto alla commissione di eventuali futuri reati. Questo scenario dovrà mutare perché non li si potrà utilizzare solo perché sono stati conservati, ma occorrerà porre dei limiti e rispondere a dei precisi criteri che il legislatore dovrà fornire nel solco di questa sentenza europea. Quindi ora il Parlamento dovrà elaborare una disciplina processuale ad hoc sui tabulati in cui specificare, in una prospettiva futura e non passata, le categorie di soggetti da proteggere e quelli di cui potranno essere forniti i dati ( ad esempio indiziati di gravi reati o persone in procinto di commettere un grave reato), elementi oggettivi e non generici ( indizi di colpevolezza di gravi reati già commessi o al fine di prevenire la commissione di gravi reati), il criterio geografico ( la zona circostante la scena del delitto), il periodo limitato ma rinnovabile», conclude Spangher.