«Magistrati e avvocati insieme si sono fatti carico di una domanda di giustizia enorme in condizioni difficilissime e questo sforzo andrebbe valorizzato». La dottoressa Silvia Albano, giudice civile presso il tribunale di Roma e componente della Giunta Esecutiva Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati, commenta così lo stato della giustizia civile e le sfide della giurisdizione, tra nuovi diritti da tutelare e carenze strutturali della macchina- giustizia.

Dottoressa, tema ricorrente è la lentezza del processo civile. E’ davvero questo il problema? Sicuramente il problema esiste, ma concentrarsi solo sul tema della lentezza è rischioso. Per esempio, a noi preoccupa la riforma appena entrata in vigore in merito a procedimento per la protezione internazionale, dove calano radicalmente le garanzie del contraddittorio, l’udienza è virtuale e viene abolito l’appello. Comprendo l’esigenza di velocità, ma bisognava pensare forse che, investendo risorse per dotare i tribunali di personale e magistrati capaci di trattare adeguatamente la materia, queste spese sarebbero poi rientrate da altro fronte, e penso al risparmio prodotto dal taglio dei tempi di accoglienza per chi arriva ed è in attesa di una pronuncia.

La velocità del procedimento non deve essere l’obiettivo primario?

La velocità non deve essere l’unico obiettivo. Esiste un problema di velocità ma anche un problema di qualità del procedimento. La velocità attraverso la riduzione delle garanzie del contraddittorio non è un valore. Bisogna investire nella giustizia civile, prima di tutto coprendo i vuoti di organico, perchè non si possono continuare a fare riforme a costo zero. Io credo, poi, che, se si realizzasse finalmente l’Ufficio per il processo, si otterrebbe un vantaggio enorme in termini sia di velocità che di quantità, preservando la qualità della risposta di giustizia.

Il diritto civile e soprattutto il diritto di famiglia finiscono spesso sui giornali per casi di cronaca legati ai cosiddetti nuovi diritti. Come si è mossa in questo campo la giurisdizione?

I nuovi diritti sono tutte quelle domande di giustizia che non hanno una disciplina legislativa, penso soprattutto alla stepchild adoption, sulla quale il legislatore non è stato in grado di trovare un accordo e ha delegato ai giudici il compito di dare una risposta ai cittadini. Si tratta di una domanda di giustizia alla quale il giudice deve necessariamente dare risposta, non è possibile non decidere. Le famiglie stanno cambiando e non c’è più solo la famiglia fon- data sul legame biologico dei suoi componenti: la giurisprudenza si è fatta carico di queste nuove esigenze, interpretando le norme vigenti alla luce dei principi costituzionali e sovranazionali. Il diritto di creazione giurisprudenziale, però, rischia di prospettare soluzioni diverse a seconda del tribunale, con tutele differenti per i cittadini. Esiste, su questi temi e nella quotidianità del lavoro giudiziale, un fronte comune tra avvocatura e magistratura? Non solo l’avvocatura è uno dei soggetti della giurisdizione, insieme alla magistratura, con la quale credo condivida l’obiettivo di far sì che la giurisdizione costituisca un servizio effettivo per i cittadini, che risponda efficacemente, anche dal punto di vista qualitativo, alla domanda di giustizia che proviene dalla società, ma credo anche sia un soggetto fondamentale per farla crescere: se c’è un bravo avvocato, è probabile che il giudice scriverà una bella sentenza. Soprattutto nel giudizio civile, dove vige il principio della domanda, l’avvocato ha un ruolo fondamentale rispetto all’andamento del processo e per questo io considero fondamentale che si creino spazi comuni tra magistrati e avvocati.

E questi spazi esistono?

Cito l’esperienza, a mio avviso straordinaria, degli osservatori sulla giustizia civile, che sono un laboratorio comune di elaborazione di buone prassi e proposte da portare al legislatore. L’ufficio per il processo è un’idea che nasce anche da lì. Confrontare i punti di vista facilita il lavoro di entrambi e sono convinta che, con la collaborazione tra avvocati e magistrati, le cose possano funzionare meglio e si arrivi a decisioni più giuste.

Condivide, invece, le ultime scelte legislative in materia civilistica?

Su molte questioni non ci siamo trovati d’accordo col ministro Orlando. Principalmente, siamo stati critici verso la legge di riforma del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale e sull’abolizione del Tribunale dei minorenni con la creazione di sezioni specializzate, per cui avremmo infatti preferito la creazione del Tribunale della famiglia sul modello del Tribunale di sorveglianza. A fronte di questo, devo dare atto che il Ministero ha anche fatto uno sforzo per dotare la giustizia di risorse, con l’assunzione di personale amministrativo e i concorsi per il reclutamento di magistrati.

A questo proposito, rimane la polemica sulle pensioni dei magistrati...

L’assunto è che ci troviamo in una situazione di carenza d’organico. Tutti condividiamo che ad una certa età si debba andare in pensione e l’idea dei settant’anni va benissimo: il problema è che non si può fare una legge in cui dall’oggi al domani si mandano in pensione i settantenni, senza che prima si siano assunti i sostituti.

Venendo ai punti dolenti, come giudica il sistema del processo civile telematico?

Si tratta senz’altro di uno strumento utilissimo, ma l’avvio è stato molto farraginoso. Molti sforzi sono stati fatti, però il problema riguarda le strutture: io sono terrorizzata che mi si rompa il pc su cui è installato il programma, perchè senza non posso più lavorare e manca il personale fisso di assistenza. Per ora, poi, abbiamo in dotazione dei pc portatili con schermi piccoli e per questo spesso dobbiamo chiedere le copie di cortesia cartacee. Quando lo devo fare confesso che mi dispiaccio, ma le assicuro che studiare un fasciolo di cause complesse su uno schermo minuscolo è molto faticoso. Con poche risorse a disposizione, è tutto più difficile.

Esiste una distorsione in come l’opinione pubblica percepisce il ruolo della magistratura?

Purtroppo spesso veniamo descritti come una categoria neghittosa e colpevole dei ritardi della giustizia perchè lavora poco. Questo perchè, per molti anni, c’è stata una azione di delegittimazione della magistratura, la politica ha disinvestito nella giustizia e ha fatto apparire i magistrati come i responsabili. Invece, magistratura e avvocatura si sono rimboccate le maniche insieme per cercare di far funzionare la giustizia con le poche risorse a disposizione e in condizioni difficilissime, ma spesso senza che l’opinione pubblica se ne sia accorta.

C’è però un problema di condotta, anche per i magistrati? A fronte di ciò che ho detto, è vero che esiste una questione morale anche in magistratura. Ci sono magistrati che, con condotte eticamente riprovevoli o addirittura costituenti reato, prestano il fianco alla delegittimazione di tutta la magistratura. Il nostro sistema disciplinare funziona abbastanza bene e spesso queste condotte vengono poi punite, ma purtroppo questo accade con ritardo e, spesso, quando non fa più notizia.