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ALEKSANDAR VUČIĆ PRESIDENTE SERBIA
«Vogliamo le elezioni!», è questo il grido che si alza forte dalle piazze serbe. Dopo otto mesi consecutivi continuano le proteste anti- governative in Serbia. Sabato 28 giugno una marea di circa 140mila persone, secondo le stime offerte dall’Independent Protest Monitor, ha inondato piazza Slavija e le strade di Belgrado. Un numero di non poco superiore rispetto alle stime offerte dalla polizia serba, secondo cui alla manifestazione avrebbero partecipato “solo” 34mila persone, e che rapportato con i 6,6 milioni di abitanti della Serbia, dà l’idea della portata delle proteste, svoltesi sempre in maniera pacifica nel corso degli otto mesi di costante mobilitazione. I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente Aleksandar Vucic e la proclamazione di elezioni anticipate.
Le proteste hanno avuto inizio a novembre, a seguito del crollo di una pensilina alla stazione ferroviaria di Novi Sad, che ha causato 16 vittime. La stazione era stata inaugurata da pochi giorni, a seguito di lunghi lavori di ristrutturazione da parte di un complesso d’aziende cinesi. L’opacità delle indagini e l’inerzia dimostrata dall’amministrazione hanno innescato prima le occupazioni delle sedi universitarie in varie parti della Serbia da parte degli studenti, e poi una mobilitazione generale della società civile serba che denuncia la corruzione e i metodi sempre più autoritari del governo del presidente Aleksandar Vucic, al potere dal 2017.
Gli oppositori del presidente accusano lui e il suo governo di avere legami con la criminalità organizzata, di usare la violenza nei confronti degli avversari politici e di aver posto pesanti restrizioni alla libertà di stampa. A seguito delle crescenti e costanti tensioni il premier serbo, Milos Vucevic, ha rassegnato le proprie dimissioni a gennaio e ha dichiarato che, se non si fosse trovato un accordo per formare un nuovo governo entro trenta giorni, sarebbero state indette nuove elezioni. Accordo trovato dopo quasi tre mesi, e un giorno prima del termine fissato dalla legge.
Duro Macut, medico endocrinologo, è stato chiamato a sostituire Vucevic. Il cambio di governo e l’apertura di un’indagine che ha portato all’incriminazione dell’ex ministro delle Costruzioni, Goran Vesic, non sono bastati per placare le proteste. Sabato la presenza di una contromanifestazione organizzata dai sostenitori del presidente Vucic, ha innescato gli scontri. Al termine della protesta, intorno alle 22, alcuni manifestanti hanno cercato di raggiungere i sostenitori del presidente, riunitisi nel parco Pionirski davanti al Parlamento, ed è iniziato il lancio di sassi e bottiglie.
A quel punto la polizia, schierata a presidio dei palazzi governativi in tenuta anti sommossa, ha caricato la folla, disperdendola per le vie della capitale serba. Durante gli scontri le forze dell’ordine hanno utilizzato gas lacrimogeni, spray al peperoncino e hanno arrestato 77 manifestanti, accusati di aver attaccato la polizia e di aver tentato di sovvertire l’ordine nazionale. «La Serbia ha vinto», ha dichiarato Vucic domenica, «Non si può distruggere la Serbia con la violenza come volevano alcuni. La Serbia non si è fermata e non si fermerà mai. Sono orgoglioso della professionalità della polizia serba. Ci saranno altri arresti per aver attaccato la polizia. Non è finita qui, è in corso l’identificazione di tutti gli aggressori. Non ci sono negoziati con i terroristi e con coloro che vogliono distruggere
lo Stato». Lo stesso giorno decine di migliaia di persone sono tornate in strada nella capitale e in altre città serbe. A Belgrado gli studenti hanno bloccato la circolazione di diverse strade e l’ingresso al ponte Ada, sul fiume Sava, con cassonetti della spazzatura e transenne, per chiedere la liberazione degli studenti arrestati durante la manifestazione di sabato e per proclamare una campagna di disobbedienza civile in tutto il paese. Nella notte tra domenica e lunedì la polizia ha effettuato altri 44 arresti. Vucic ha accusato studenti e manifestanti di essere al soldo dell’occidente e ha promesso altri arresti per coloro che hanno preso parte alle manifestazioni.
Le accuse del presidente serbo fanno eco al monito lanciato dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Come riportato dal Moscow Times, Lavrov ha messo in guardia i paesi occidentali dal fornire supporto ad una «rivoluzione colorata» in Serbia. «Stiamo seguendo la situazione. Siamo interessati a che queste proteste siano condotte alla calma, come ha detto il presidente serbo Aleksandar Vucic, sulla base della costituzione e delle leggi dello Stato amiche nei nostri confronti», ha dichiarato Lavrov.
La Federazione Russa si augura che «gli Stati occidentali, che di solito cercano di utilizzare eventi interni di un tipo o dell’altro in vari paesi per promuovere i loro interessi, questa volta non ricorrano alle rivoluzioni colorate», ha ammonito il ministro degli Esteri. Il riferimento è chiaro: i russi temono che in Serbia possa accadere quanto accaduto in Georgia nel 2003 con la rivoluzione delle rose, in Ucraina nel 2004 con la rivoluzione arancione e in Kirghizistan nel 2005 con la rivoluzione dei tulipani. «Non possiamo escludere la possibilità che le ben note tattiche impiegate per realizzare rivoluzioni colorate siano ora utilizzate in Serbia», ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. Da novembre sul governo di Belgrado è tornato ad aleggiare lo spettro dell’Otpor! (Resistenza!), il movimento studentesco che prese parte alla rivoluzione dei bulldozer, culminata con la caduta del regime di Milosevic nel 2000.