C’è un dato, certo, che non può non essere preso in considerazione. Rispetto solo a un mese fa, la popolazione detenuta ha avuto una riduzione di circa 6000 persone. Nel recente bollettino pubblicato dal Garante nazionale delle persone private della libertà c’è un dato inequivocabile: al 16 aprile risultano 54.998 presenze per una capienza di poco più di 47.000 di posti realmente disponibili. Quindi rimangono quelle circa 8000 persone in più che potrebbero essere raggiunte dai domiciliari, in maniera tale da liberare più spazi per la gestione sanitaria dell’emergenza Covid 19 come richiesto dal protocollo. Spazi necessari soprattutto per gli istituti penitenziari che hanno un sovraffollamento che supera abbondantemente il 100%. Lo scopo da raggiungere, come ha sollecitato sempre il Garante nazionale nei primi bollettini, è quello della decongestione delle carceri tenendo ben presente alcune dimensioni: la dimensione della consistenza numerica perché l’affollamento non abbia a superare il 98% della disponibilità e la dimensione della rapidità perché gli interventi di decongestione producano effetti con un ritmo comparabile con quello inquietante e accelerato di ogni diffusione epidemica.

Il Garante nazionale ne ha aggiunto anche una terza. Ovvero la disposizione di misure che si concentrino «sulla salute delle persone, quelle che sono ospitate nelle strutture privative della libertà, quelle che in tali strutture ogni giorno lavorano con professionalità e comprensibile apprensione, quelle che all’esterno di queste strutture potrebbero subire riflessi gravi qualora l’epidemia all’interno dovesse svilupparsi».

Ma la riduzione della popolazione comunque c’è stata. Sicuramente sono tre i fattori che l’hanno determinata. «Un terzo – spiega a Il Dubbio il Garante Mauro Palma – per l’articolo 123 introdotto dal “Cura Italia” relativo alla detenzione domiciliare per pene non superiori a diciotto mesi e l’articolo 124 che ha concesso i domiciliari per i semiliberi, un altro terzo per la significativa diminuzione degli arresti, il rimanente per l’applicazione più incisiva delle normative già esistenti da parte dei magistrati di sorveglianza».

C’è anche il discorso dei braccialetti elettronici. «Circa 400 dispositivi – sottolinea sempre il Garante – sono stati applicati a chi ha la pena residua da espiare superiore ai sei mesi, ma la magistratura di sorveglianza in alcuni casi dove manca la disponibilità dei braccialetti ha comunque concesso i domiciliari».

Il Garante ha comunque ribadito che le misure adottate dal governo non bastano e si deve fare di più. Infatti, nel suo bollettino del 15 aprile ha ricordato che, seppur c’è stato un valore importante nella sua riduzione, è «pur sempre uguale a quello della popolazione detenuta a metà del 2016 e quindi distante da quello ( 52.184) che nell’anno precedente aveva consentito all’Italia di uscire dalla procedura di esecuzione della sentenza pilota della Corte di Strasburgo ( il Comitato dei ministri dichiara chiusa la procedura l’ 8 marzo 2016 sulla base appunto dei dati raggiunti nel 2015)».

Quindi, seppur la popolazione detenuta è oggettivamente diminuita, ciò non basta per arrivare a non superare quel 98 percento della disponibilità. Non solo non bisogna superare la disponibilità effettiva dei posti, ma bisogna anche non occuparli tutti. Questo non solo nel periodo emergenziale, ma in anche quello “normale”. C’è voluta una pandemia per far capire che i luoghi chiusi ( che siano carceri oppure gli ospedali e similari) non devono in alcun caso ospitare una quantità enorme di persone. Si è capito, forse, solo ora che il ricorso eccessivo alla ospedalizzazione, così come alla carcerizzazione, fa male alla società tutta.