I trent’anni di potere che Salvini si autoassegna sono tanti. La singolarità è che né alleati né avversari si sbattono attaccarlo: piuttosto cercano riparo dall’uragano sovranista delle Europee del 2019. Per l’M5S l’opzione “di sinistra”, tipo Fico è impraticabile. Di Maio punta allo scontro con l’Ue inseguendo l’altro vicepremier. Lega, se 30 vi sembran pochi Ma l’M5S può restare inerte?

Trent’anni sono lunghi. Neanche Alexandre Dumas, un secolo e mezzo fa, c’era arrivato fermandosi a Vent’anni dopo per riprendere a celebrare i fasti dei suoi quattro, un po’ attempati, moschettieri. Perciò per trovare un raffronto storico di adeguato intervallo temporale, occorre riandare alla prima metà del Seicento e alla Guerra dei Trent’anni che dilaniò l’Europa di allora. Un conflitto nato sullo smembramento del Sacro Romano Impero e che, sorto su una matrice religiosa - protestanti vs cattolici - ben presto dilagò per diventare la lotta tra francesi e asburgici per il controllo del vecchio contiente. Solo per puntualizzare, fu una guerra diremmo oggi di carattere globale, piena di devastazioni, ferocia ed eccidi: Matteo Salvini vuol forse, seppur metaforicamente, rifarsi a quel registro per stabilire l’egemonia della Lega a livello europeo?

Sono ironie e paradossi, ovviamente. Tuttavia l’ipoteca di trent’anni al potere il ministro dell’Interno, sul pratone di Pontida, l’ha tirata fuori sul serio galvanizzando migliaia di militanti: assiepati ed entusiasti come non mai. La cosa forse più sorprendente è che nei commenti di alleati e avversari l’uscita non è stata trattata alla stregua di una rodomontata: niente sussiego o sarcasmo, al massimo un preoccupato silenzio. Nessuno crede ai sei lustri al governo, presumibilente neanche Salvini. Parecchi invece vedono nella esibita sicumera del capo leghista l’inquietante addensarsi di nuvoloni sovranisti sul futuro europeo. Un uragano annunciato, insomma, con tanto di data calendarizzata: le elezioni europee della primavera del 2019, anno primo del trionfo elettorale e dell’egemonia populista planetaria ( ci sarà sempre Trump dall’altra parte dell’Oceano, no? E Putin sarà ancora al Cremlino, giusto?).

La consapevolezza che le previsioni di Salvini vadano inserite sotto la voce esagerazioni e non sotto quella vaneggiamenti, merita di essere confermata dai fatti. Nell’attesa, quel che più interessa per gli equilibri politici italiani è il connubio con i Cinquestelle. Ancora una volta, si conferma il vizio di fondo che diventa remora nell’azione di governo dei grillini. Quell’essersi orgogliosamente definiti “né di destra né di sinistra” ha consentito razzie di consensi ma è diventato piombo nella ali una volta arrivati a palazzo Chigi. L’identità e la riconoscibilità della Lega come contenitore politico che racchiude, dà cittadinanza ed espressione al patrimonio della destra radicale continentale, sono precise. La gassosità identitaria, al contrario, contraddistingue i Penstellati: «Per noi francesi sono un Ufo politico», attacca Marine Le Pen in una intevista a Libero. Dunque il primo quesito riguarda le elezioni Europee: il MoVimento scenderà nella trincea sovranista di Salvini o si ritaglierà un ruolo autonomo? E quale?

In questi giorni molto ha fatto discutere la sortita del presidente della Camera, Roberto Fico, contrario alla chiusura dei porti e il secco rimbrotto di Di Maio: «Parla a titolo personale». Lo stesso Di Maio che poi cerca coperture, per così dire, a sinistra col decreto ( svuotato) Dignità e l’attacco alla Tv, comprese quelle berlusconiane, che «hanno fatto il lo- ro tempo». Il corto circuito politico- ideale sta nel fatto che l’M5S non può svolgere un ruolo “di sinistra”: né sull’immigrazione né su altro. Come non potrebbe svolgere un ruolo di destra nell’inverosimile caso in cui i Cinquestelle dovessero cambiare in corsa alleanze e sottoscrivere un contratto- bis stavolta con il Pd.

Insomma il punto è il patrimonio di consensi che i Pentastellati hanno messo in cascina e quel 30 per cento leghista segnalato dai sondaggi che quella cascina sta erodendo. Il fatto che il Pd, sempre nei sondaggi, non cali anzi cresca di qualche decimale è la conferma che il successo leghista è tutto a scapito dei grillini ( molto) e di Fi ( meno). Se l’opzione “di sinistra” non può funzionare, il vicepremier pentastellato può essere tentato di rincorrere Salvini sullo scontro con la Ue. L’idea è di sforare i limiti del fiscal compact usando la faccia feroce contro Bruxelles. Salvini lo vuole fare «per dare felicità alle famiglie» ; Di Maio «perchè bisogna finirla con l’austerity». Almeno quest’arma funzionerà per recuperare smalto e protagonismo? Chissà. La storia insegna che tra la fotocopia e l’originale i cittadini scelgono sempre la seconda.