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Cosmopolita, playboy ante litteram, amante e amato, a Roma e non solo, testardo e, inutile nasconderlo, antipatico a molti. Soprattutto, il più forte tennista italiano del ‘900, capace di vincere due volte il Roland Garros e altrettante gli Internazionali di Roma, quando le racchette di legno facevano il paio ai maglioncini bianchi e alle scarpe lisce. Nicola Pietrangeli, lo “Zar” perché figlio di madre russa, è morto a 92 anni dopo una vita dedicata a quello che viene definito lo sport del diavolo, ma che lui ha saputo interpretare giocando come forse si gioca soltanto in paradiso.
Nato a Tunisi e morto a Roma, nel mezzo Parigi, la dolce vita, gli Internazionali d’Italia, quattro amori, due mogli e sul groppone la responsabilità di vittorie che non sarebbero state mai più replicate, fino allo sbarco sulla Terra dell’alieno Jannik Sinner. Un’autobiografia, “Se piove rimandiamo”, che racchiude un mondo che non c’è più, di quando non c’erano ancora i tetti richiudibili e a tennis, quando pioveva , non si poteva giocare.
Ha sempre ammesso con autoironia tutti i propri difetti, riconoscendo i meriti di chi gli è succeduto e spiegando per filo e per segno quell’amore mai davvero sbocciato con Adriano Panatta, capace di sconfiggerlo nella finale degli Assoluti italiani del 1970 in una partita che per Pietrangeli seppe tanto di passaggio di consegne, e che non si perdonò mai. Ma di Panatta, come di Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli lo “Zar” fu anche capitano di Davis, in quello splendido 1976 che portò la prima e per mezzo secolo unica “insalatiera” nella bacheca del tennis azzurro. Successe di tutto, le richieste di boicottaggio per non giocare la partita nel Cile di Pinochet, la cocciutaggine di Pietrangeli per tenere il tennis diviso dalla politica, gli intervento del governo, di Andreotti, del Vaticano, delle ambasciate di mezzo mondo e poi quella trasferta a Santiago, cercata e infine trovata, scendendo in campo con le magliette rosse, compromesso in fondo accettabile anche per un duro e puro come lui.
«È stato il primo eroe del nostro tennis», lo ha ricordato Bertolucci, un eroe dei due mondi, vista la vittoria in Sudamerica ma un eroe che poi tornava sempre lì, alla sua Roma, a quel campo della pallacorda intitolatogli nel 2006, unico stadio intitolato a una persona ancora in vita. Una volta chiese che il suo funerale venisse celebrato proprio li, al centro dello stadio Pietrangeli. Ora che lo “Zar” non c’è più e lo immaginiamo già fare due scambi in paradiso con Lea Pericoli ci auguriamo che sì, il suo funerale venga celebrato proprio lì, al centro dello stadio Pietrangeli. «E se piove?», potrebbe obiettare qualcuno. Se piove rimandiamo.


