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L’attenzione del governo e delle Regioni, ora, è tutta al 26 aprile, quando come annunciato da Mario Draghi tutte le scuole riapriranno in presenza, tranne le superiori in zona rossa. I dettagli saranno resi noti nel decreto legge varato in settimana, e, intanto, il ministero dell’Istruzione incontra le parti sociali. Un primo tavolo, al quale partecipano anche i presidi, si tiene stamattina, perché i sindacati chiedono compatti l’aggiornamento del protocollo di sicurezza e un punto sugli esami di Stato di giugno. Per quanto riguarda la logistica, in settimana ci sarà un tavolo con il ministro Bianchi, il ministro Giovannini e le Regioni. Un tavolo chiesto dalle Regioni, precisa Massimiliano Fedriga, perché «sulle scuole c’è un limite fisico, perlomeno per quanto riguarda i trasporti, per esempio nell’attesa dell’autobus. Servono anni e non mesi per ordinare nuovi mezzi. È chiaro che bisognerà organizzare anche questo». E propone di rivedere «in modo consistente» gli orari di entrata ed uscita dalle scuole. «La scuola ha dei rischi, bisogna ridurli», taglia corto Agostino Miozzo, consigliere del ministro dell’Istruzione Bianchi. «Il problema delle classi pollaio - afferma - dev’essere ridotto attraverso le soluzioni più idonee». Per Miozzo è «difficile» introdurre il tampone a tappeto per 8 milioni di studenti, ma controlli a campione sul territorio potrebbero «essere utili». «La decisione di tornare a lavorare in presenza, a partire dal 26 aprile, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, pur essendo un obiettivo condiviso, è stata assunta - come comunicato dal Presidente del Consiglio Draghi - basandosi su un calcolo di "rischio ragionato" che non basta a dare tranquillità e garanzie al personale e agli alunni, le cui condizioni relativamente al distanziamento sono rimaste immutate, nonostante le varianti del virus. Allora la domanda da porsi è: Quali misure di sicurezza in più sono state nel frattempo approntate visto che in tutte zone di rischio, comprese arancione e gialla, debbono permanere tutte le precauzioni anticovid per scongiurare la diffusione del contagio?», si chiedono i sindacati Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal, Gilda Unams. «È dunque necessario - ed è bene che le autorità preposte, tutte, riflettano attentamente sul da farsi - che in questi giorni che ci separano dalla effettiva generale apertura del 26 aprile vengano messi in atto provvedimenti adeguati. E ciò perché la pandemia non ha cessato di manifestare i suoi effetti dannosi per la salute e la vita delle persone». «Occorre a tal fine anzitutto aggiornare i protocolli di sicurezza, peraltro mai puntualmente applicati, che sono fermi all’estate del 2020; poi occorre attivare un’efficace azione di tracciamento, potenziare i trasporti (che sono il luogo dove le persone che frequentano la scuola corrono i rischi maggiori di contagio) e, soprattutto, occorre consentire che le scuole - supportate dagli uffici scolastici regionali, e non più costrette a seguire le discutibili decisioni delle Regioni, fin qui dimostratesi ampiamente non all’altezza - possano auto organizzarsi circa gli orari di ingresso e di uscita, la durata delle lezioni e quant’altro occorra per garantire il lavoro e le lezioni in sicurezza», continua la nota sindacale congiunta. «E infine è indispensabile, non appena esaurite le attuali priorità vaccinali stabilite dal Governo, riprendere subito e portare rapidamente a termine la vaccinazione del personale scolastico», dicono i sindacati. Al termine dell’incontro con il ministro Patrizio Bianchi, venerdì sera, convocato in previsione della ripresa del confronto sul Patto per la scuola avviato il 16 marzo scorso, i segretari generali di Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda Unam hanno quindi chiesto di «stringere i tempi su un Patto che apra ad una stagione di forte investimento per la scuola». Bianchi ha informato dell’imminente invio alle organizzazioni sindacali di un testo di impostazione generale relativamente al Patto sull’Istruzione, cui seguirà l’immediata attivazione di tre tavoli tematici (reclutamento ordinario e straordinario, organizzazione e autonomia scolastica, Pnrr), con l’obiettivo di pervenire nel più breve tempo possibile alla sua sottoscrizione. Test salivari per gli studenti, la proposta del Cts «L’immunità per tre quarti del personale scolastico e un programma di test salivari rapidi sugli studenti renderanno la scuola ancora più sicura», propone Sergio Abrignani, immunologo dell’università Statale di Milano e membro del Comitato tecnico scientifico per l’emergenza coronavirus, in un’intervista a Repubblica. «Da parte nostra c’è una proposta concreta sul tavolo - spiega - Poi sarà il Governo a decidere. Volendo, si potrebbe partire fra due o tre settimane». «I test salivari non sono invasivi come i tamponi nasali - sottolinea l’esperto - Sono antigenici, quindi rapidi, e molto semplici da eseguire. Danno il risultato in 5 minuti. Non sono ovviamente precisi come i tamponi molecolari, ma per gli screening su grandi numeri sono un aiuto valido. Possiamo pensare a test ripetuti una o due volte alla settimana su tutti gli studenti», anche perché «la capacità produttiva a livello mondiale ormai c’è. Gli Stati Uniti hanno in programma di usarne 500 milioni alla settimana, la Germania alcune decine di milioni. In Italia si potrebbe partire con 10 milioni a settimana, da usare in parte nelle scuole fra gli studenti, che non sono vaccinati, e in parte per far ripartire alcuni settori dell’economia. Li possiamo fare all’ingresso di ristoranti, cinema, teatri, sempre mantenendo le regole del distanziamento all’interno. Il costo, su grandi numeri, è 4-5 euro a test». E mentre «a settembre, quando abbiamo iniziato a pensarci, avevano una sensibilità del 40%, ora è salita al 94-95%. Vengono usati anche in alcune aziende per il personale che non può lavorare da casa». Ma è sicuro riaprire le scuole senza aver fatto grandi passi avanti sul fronte dei trasporti, per esempio? «Fino a pochi giorni fa vedevamo cortei che chiedevano di riaprire all’istante e gridavano contro il crimine commesso ai danni di una generazione - replica Abrignani - Oggi è vero che non tutto è migliorato, ma abbiamo una curva dei contagi in leggera discesa e una vaccinazione fra il personale scolastico arrivata a livelli molto alti. Il 76% di immunizzati è un valore secondo solo a quello dei vaccinati fra il personale sanitario». «La scelta di dare la precedenza nella campagna vaccinale agli insegnanti, rispetto agli anziani più fragili, può essere criticata, ma è stata la nostra scelta. L’abbiamo presa in una situazione d’emergenza - ricorda l’immunologo del Cts - in cui nessuno ha la verità in tasca, nemmeno chi sostiene di averla, e con solo 14 milioni di dosi arrivate nel primo trimestre, laddove ce n’erano state promesse 28. Visto che alla scuola abbiamo dato la precedenza nella campagna vaccinale, penso che ora sia giusto riaprirla. Come ha detto il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro, avendo un gettone da spendere, grazie al calo della curva, è giusto spenderlo a favore dell’educazione». Perché non abbiamo ancora capito quanto sia alto il rischio di contagio fra i banchi? «Gli studi recenti non indicano la scuola come un luogo di particolare rischio, ma è vero che su questo punto non c’è unanimità fra gli scienziati», ammette Abrignani che, su chi come gli insegnanti è in attesa della seconda dose del vaccino AstraZeneca, conferma: «Non sembrano esserci controindicazioni per usare ancora AstraZeneca, ma i richiami sono previsti per maggio. Al momento il personale scolastico è protetto». «La giornata di oggi rappresenta un’altra tappa importante in vista della completa riapertura delle scuole programmata per il 26 aprile: quasi sette milioni di studenti italiani possono nuovamente frequentare le lezioni in classe e speriamo davvero che la didattica a distanza resti solo un ricordo. La campagna di vaccinazione del personale scolastico ha raggiunto una copertura ragguardevole e molti istituti hanno lavorato assai bene sul fronte della messa in sicurezza. Ma non ci si deve fermare qui. Come Lega, riteniamo fondamentale migliorare i sistemi di monitoraggio e tracciamento e torniamo a chiedere in tempi brevi l’adozione dei tamponi salivari: un metodo di rilevamento dei rischi non invasivo e applicabile su larga scala», dichiara in una nota, Rossano Sasso, sottosegretario all’Istruzione. «Nelle ultime ore - aggiunge - anche autorevoli esponenti del Comitato tecnico-scientifico che supporta il Governo hanno rilanciato questa proposta, il che ci conforta ulteriormente sulla bontà della nostra intuizione. Il tampone salivare, al contrario di quello nasale, può essere effettuato anche dai bambini più piccoli, ha un costo contenuto e sul mercato è facilmente reperibile: ci sono diverse aziende italiane che hanno messo a punto dei dispositivi efficaci, ottenendo importanti commesse all’estero. Anche l’attendibilità di questi test è aumentata rispetto ai mesi scorsi». Di conseguenza, conclude il sottosegretario, «sarebbe auspicabile che le nostre autorità sanitarie rilasciassero in tempi brevi le necessarie autorizzazioni, in modo che il Governo possa recepirle e fornire al mondo della scuola un ulteriore strumento operativo in tema di sicurezza». Pregliasco: «Preoccupa mobilità» La ripresa dalla scuola completamente in presenza «preoccupa molto« Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università Statale dii Milano, intervenuto ad Agorà su Rai3. «Non tanto i piccolini, ma gli adolescenti e la fascia giovanile», ricorda, sono «colpiti dalla variante inglese» del coronavirus Sars-CoV-2 «in modo più ampio e con forme asintomatiche, quindi difficili da individuare senza uno screening». Il rientro in classe «rappresenta sicuramente un’esigenza - ammette l’esperto - Lo si vuole, lo si desidera ed è necessario per certi versi. Lo vedo anche all’università, nei corsi che faccio in differita: l’efficacia è sicuramente inferiore almeno per una parte dell’insegnamento, per la discussione, per l’interazione». Tuttavia, mentre «un protocollo all’interno della scuola, se ben seguito, minimizza i dati e alcuni studi ce lo dicono, tutto ciò che è la mobilità intorno spaventa - evidenzia Pregliasco - perché alla fine sono quelli i luoghi di maggior affollamento» e quindi «di maggior rischio». «Non si tratta di una frenata. Anzi il ritorno in presenza è stato da noi sempre auspicato. Si tratta più che altro di una riflessione di natura tecnica. Da un lato abbiamo una percentuale alta di personale vaccinato, il 75%, ma per quanto riguarda le problematiche siamo sempre lì. Una è il trasporto pubblico e inoltre è inutile nascondere che gli spazi sono sempre gli stessi. A questo aggiungiamo che il piano di tracciamento non riesce a decollare. Quindi qualche preoccupazione è lecito avercela. Io penso che sarebbe giusto lasciare alle scuole la possibilità di decidere quanti studenti possono andare», spiega il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, che ieri aveva lanciato l'allarme: «La scuola è un luogo naturale di assembramento, e si vedrà costretta a ridurre la presenza dei ragazzi e alternarla alla dad, facendo rotazioni».