Più di trecento pagine, un rapporto atteso dall’opinione pubblica americana e soprattutto dall'ex presidente Donald Trump. Parliamo del rapporto pubblicato ieri, e portato avanti per quattro anni, dall'avvocato e consigliere speciale del Dipartimento di Giustizia, John Durham. Oggetto del minuzioso report l'inchiesta dell'FBI sui legami tra il tycoon e la Russia nel 2016, un link che secondo l'agenzia del Federal Bureau avrebbe avuto pesanti riflessi sulla campagna elettorale del candidato repubblicano e sul risultato delle elezioni presidenziali.

Le conclusioni di Durham però vanno tutte in senso contrario, anzi, criticano fortemente l'operato degli uomini di Pennsylvania Avenue la cui indagine sarebbe stata fortemente condizionata da errori ed omissioni, se non da un pregiudizio politico. Durham ha usato, nel rapporto, un'espressione precisa per indicare tutto ciò: «mancanza di rigore analitico». Non sarebbero dunque sussistite prove sufficienti, fin dall'inizio, del legame tra Trump e Mosca per avviare un'indagine di questa importanza.

Nello specifico, tra gli errori investigativi commessi, ci sarebbero ripetuti casi di quelli che vengono definiti mancanza di «bias di conferma», cioè di aver ignorato sistematicamente le informazioni che minavano la premessa iniziale dell'indagine. Il rapporto ha rilevato differenze significative nel modo in cui l'FBI aveva gestito l'indagine di Trump rispetto ad altre potenzialmente sensibili, come quelle che coinvolgevano la sua rivale elettorale del 2016 Hillary Clinton.

Secondo Durham l'ex segretaria di stato e sfidante democratica alle presidenziali aveva ricevuto «briefing difensivi» dall'agenzia federale rivolti a «coloro che potrebbero essere stati bersagli di attività nefaste da parte di potenze straniere». In sostanza Clinton sarebbe stata avvertita del contenuto dell'inchiesta preventivamente. Il report dunque trae la convinzione che «il Dipartimento di Giustizia e l'FBI non sono riusciti a sostenere la loro importante missione di stretta fedeltà alla legge». In qualche misura l'FBI ha smentito se stessa rilasciando una dichiarazione ufficiale nella quale afferma di aver «già implementato dozzine di azioni correttive» circa l'indagine su Trump e che «se tali revisioni fossero state applicate nel 2016, i passi falsi identificati nel rapporto avrebbero potuto essere evitati».

Il rapporto segna un altro capitolo dello scontro tra democratici e repubblicani in vista delle elezioni del prossimo anno. L'indagine infatti prese l'avvio da un altro lavoro, quello di Robert Muller, anch'esso consigliere speciale che portò a dozzine di accuse penali contro lo staff e i collaboratori della campagna di Trump per crimini come hacking informatico e reati finanziari. John Durham invece fu incaricato dall'allora procuratore generale William Barr nel 2019, l Attorney general nominato proprio dall'ex presidente.

Non a caso già lo scorso anno Trump aveva affermato di credere che il rapporto Durham avrebbe fornito prove di attività «davvero cattive, malvagie, illegali e incostituzionali» e «rivelato la corruzione a un livello mai visto prima nel nostro paese». L'inchiesta infatti ha avuto come risultato tre procedimenti penali. Tra questi un avvocato dell'FBI che si è dichiarato colpevole di aver alterato le prove mentre chiedeva il permesso di intercettare un ex funzionario della campagna del tycoon.

Secondo l'ex presidente repubblicano in questa maniera è andato in fumo il sogno dei democratici di eliminarlo dalla scena politica per via giudiziaria. Attraverso la sua piattaforma di social media, Truth Social, ha ribadito il suo leit motif che il rapporto Durham si sarebbe incaricato di dimostrare: «L’opinione pubblica americana è stata truffata». Non esistendo prove sufficienti per giustificare un'indagine completa da parte dell'FBI, è stato sconfitto il disegno di quel deep state che lo prenderebbe di mira ingiustamente.