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Associated Press/LaPresse
Si era presentato davanti ai giudici esibendo un copia del Processo di Franz Kafka, un gesto provocatorio ma a suo dire anche filologico se hai a che fare con una parodia di sistema giudiziario, con una burocrazia opaca e una magistratura feroce come accade nella Russia di Vladimir Putin. E allo stesso modo di Joseph K., il dissidente russo Oleg Orlov è finito negli ingranaggi di una macchina implacabile che sfugge al senso comune, che non ti concede difesa e il cui unico possibile esito è la condanna. «Il protagonista del Processo non ha idea di cosa sia accusato eppure viene condannato.In Russia siamo formalmente informati delle accuse ma è impossibile comprenderle in un quadro legale. Tuttavia, diversamente dal personaggio di Kafka sappiamo perché siamo detenuti, arrestati, condannati e uccisi. Veniamo puniti per aver osato criticare il potere».
Dovrà scontare due anni e mezzo di colonia penale, come stabilito dalla toghe del tribunale Golovinskyj di Mosca per aver “discreditato” l’esercito russo, criticando l’invasione dell’Ucraina e la guerra «imperialista» del Cremlino in un articolo pubblicato sul sito di inchiesta francese Mediapart lo scorso novembre. Orlov in quell’occasione definì la leadership di Putin «totalitaria, fascista e distopica», denunciò uno «Stato pervasivo che ha eliminato il diritto alla vita privata» auspicandone la sconfitta sul fronte ucraino: «Perché una Russia fascista e vittoriosa diventerà inevitabilmente una minaccia non solo per i suoi vicini di casa ma per tutta l’Europa».
Una fattispecie di reato, il “discredito delle forze armate” costruita ad hoc nell’inverno del 2022 per stroncare qualsiasi voce critica, e che fin qui ha riempito le galere con l’arresto di migliaia di pacifisti e oppositori. Chi fermato durante una manifestazione di piazza, chi identificato per aver espresso la propria opinione sul web. “Disfattisti” avrebbero detto i governi di guerra nel 1914-18, “agenti stranieri” li cataloga il regime di Putin.
Il 71enne Orlov, co-presidente dell’Organizzazione Memorial e pacifista di lunga data, dai tempi del conflitto tra Urss e Afghanistan, sapeva benissimo che il suo processo sarebbe stata una farsa, che la sentenza era già scritta e per questo si è rifiutato di testimoniare e di rispondere alle petulanti domande dei giudici, ostentando il romanzo del grande scrittore boemo e rivendicando le proprie posizioni. Nella sua ultima dichiarazione pubblica prima di finire in manette Orlov ha parlato con il consueto coraggio: «Non ho nulla da rimpiangere e nulla di cui pentirmi, quel che ho scritto non è un’esagerazione, ma la pura realtà dei fatti». C’è stato anche l’omaggio ad Alexei Navalny, scomparso dieci giorni fa nella colonia penale “Lupo artico” in Siberia in circostanze misteriose: «Qualunque siano le cause della sua morte è stato di sicuro un omicidio. Oggi dobbiamo tutti ricordare il suo messaggio: non mollare, non rinunciare alla lotta». L’appello a resistere è rivolto agli altri oppositori del regime privati della libertà e vittime delle leggi liberticide: «In questo momento Aleksei Gorinov, Alexandra Skochilenko, Igor Baryshnikov, Vladimir Kara-Murza, e molti altri vengono uccisi lentamente nelle colonie penali e nelle prigioni. Vengono uccisi perché protestano contro il massacro in Ucraina, per volere che la Russia diventi uno stato democratico e prospero che non pone una minaccia al mondo che la circonda». Subito dopo la lettura della sentenza Oleg Orlov è stato portato fuori dall’aula, scortato da otto agenti con il volto coperto da passamontagna e il giubbotto anti proiettile tra gli applausi dei pochi sostenitori che hanno sfidato gli occhiuti servizi di intelligence