«Il mio incontro come capo politico del Movimento 5 Stelle, con esponenti dei gilet gialli è pienamente legittimo». Luigi Di Maio non sembra affatto preoccupato dalla crisi diplomatica senza precedenti tra Roma e Parigi se su Facebook rivendica il diritto a dialogare con «altre forze politiche che rappresentano il popolo francese». E pazienza se Quai d’Orsay ha appena richiamato in patria l’ambasciatore Christian Masset per consultazioni sulle «ultime ingerenze» italiane che «rappresentano una provocazione supplementare e inaccettabile».

A Parigi non è piaciuta affatto la foto di gruppo in cui il vice premier italiano è ritratto insieme a Cristophe Chalençon, uno dei leader dei gilet gialli, il movimento che ha conquistato le piazze francesi con un obiettivo dichiarato: rovesciare Macron. «La campagna per le elezioni europee non può giustificare la mancanza di rispetto per ogni popolo o la sua democrazia», replica adesso il ministero degli Esteri francese in una nota che punta il dito contro il governo di Roma. «La Francia è oggetto da diversi mesi di accuse ripetute, attacchi senza fondamento, dichiarazioni oltraggiose», è la recriminazione del Quai d’Orsay, secondo cui le provocazioni italiane «violano il rispetto dovuto alla scelta democratica fatta da un popolo amico ed alleato». Non solo, «violano il rispetto che deve esistere tra governi democraticamente e liberamente eletti». È l’inizio una crisi diplomatica tra i due Paesi senza precedenti in tempo di pace. Tanto che persino il Quirinale si sente in dovere di intervenire per «ristabilire subito il clima di fiducia», dice Sergio Mattarella. «Bisogna difendere e preservare l'amicizia con la Francia».

Ma Di Maio non ha alcuna intenzione di passare per il responsabile del gelo tra i due paesi e sui social ribadisce la correttezza delle sue posizioni. «Così come En Marche, il partito di governo francese, è alleato in Europa con il Pd, partito d’opposizione in Italia, così il Movimento 5 Stelle incontra una forza politica di opposizione al Governo francese ( Ric)», scrive il capo politico pentastellato. «Sono europeista. Ed essere in un’Europa senza confini, significa libertà anche per i rapporti politici non solo per lo spostamento delle merci e delle persone». Per Di Maio l’incontro con Cristophe Chalençon non rappresenta «una provocazione nei confronti del governo francese attuale ma un importante incontro con una forza politica con cui condividiamo tante rivendicazioni». Il ministro del Lavoro assicura poi amicizia sincera al popolo francese ma non rinuncia alla polemica con Macron, che «si è più volte scagliato contro il governo italiano per motivi politici in vista delle europee», dice, riferendosi alle parole pronunciate dal Presidente francese nel giugno scorso, quando il suo portavoce definì «cinica e irresponsabile» la gestione dei migranti bloccati a bordo dell’Aquarius. Anche in quel caso seguì una crisi diplomatica con tanto di ambasciatore convocato alla Farnesina per avere chiarimenti. Ma non è neanche l’unico episodio di contrasto aperto tra le due cancellerie. Lo scorso gennaio, infatti, è toccato a Parigi convocare la nostra ambasciatrice Teresa Castaldo per avere spiegazioni in merito alle parole pronunciate in pubblico dal Di Maio. Sono i giorni in cui il M5S lancia la campagna contro il Franco delle colonie - che «indebolisce le economie di quei paesi da dove, poi, partono i migranti» - attraverso il quale i francesi finanzierebbero il loro «debito pubblico». Per i vicini d’oltralpe è una provocazione «inaccettabile». Nei mesi successivi si registrano episodi costanti di tensioni di varia natura. Persino la Tav contribuisce ad accendere gli animi. Ma in piena campagna elettorale tutto diventa utile per la conquista di Bruxelles.

Per mettere pace in questa diatriba Matteo Salvini si dice pronto a incontrare Macron ma mette subito sul piatto un po’ di condizioni: «Stop con i respingimenti, stop con i terroristi italiani in Francia e basta danneggiare i nostro i nostri lavoratori pendolari che sono letteralmente vessati ogni giorno alle frontiere francesi da controlli che durano ore». Più che a una vera e propria offerta di tregua, quella del ministro dell’Interno somiglia una richiesta di resa.

E mentre il titolare della Farnesina Moavero Milanesi è in Sud America per occuparsi della crisi venezuelana a fare le veci del ministro ci pensa il suo vice: il grillino Manlio Di Stefano. «Nessuna crisi diplomatica, almeno da parte nostra. La loro semmai è una provocazione», dice con tono tutt’altro che conciliante. «Erano abituati ad avere sudditi in Italia certo che ora notano la differenza», è l’analisi del sottosegretario agli Esteri a pochi minuti dal ritiro dell’ambasciatore francese.

E la campagna elettorale è solo all’inizio.