Dicono i beninformati che Matteo Renzi la legge proposta dal suo partito non piaccia più che tanto: se, come è possibile e forse probabile, verrà massacrata nella fossa del voto segreto non verserà neppure una lacrimuccia. Potrà comunque dire di averci provato fino all’ultimo.

Dicono i beninformati che a Matteo Renzi la legge proposta dal suo partito non piaccia più che tanto: se, come è possibile e forse probabile, verrà massacrata nella fossa del voto segreto non verserà neppure una lacrimuccia. Potrà comunque dire di averci provato fino all’ultimo e avrà le carte in regola per negare a Sergio Mattarella anche il “minimo sindacale” rappresentato dall’omogeneizzazione per decreto delle leggi diverse che al momento regolano le elezioni di Camera e Senato e che rendono di per sé quasi impossibile il formarsi di una maggioranza omogenea dopo le elezioni. Del resto se il segretario del Pd avesse scommesso sul serio su questa legge elettorale non avrebbe fatto iniziare il percorso da Montecitorio, dove il voto è segreto, ma da palazzo Madama, dove invece è palese.

I dubbi dell’ex premier sono più che comprensibili. A prima vista, in effetti, si direbbe che a dettare il testo del Rosatellum 2 sia stata un’insana tendenza al suicidio: la dinamica premia infatti chi ha più capacità di coalizzare, dunque, senza ombra di dubbio, il centrodestra. Infatti proprio Renzi ha ripetuto per mesi ai suoi che bisognava evitare il premio di coalizione proprio perché su quel fronte il dominio del centrodestra era accertato. Salvo poi mettere in campo una legge che incentiva le coalizioni, pur formalmente senza premio ( ma la lista maggioritaria è precisamente un premio ripartito a seconda del risultato del proporzionale).

La mossa solo all’apparenza autolesionista del ragazzo di Rignano in realtà ha una sua logica, per quanto azzardata, e lo stesso Renzi l’ha illustrata ai suoi nei giorni scorsi. Se si andrà al voto con il Consultellum il centrodestra di Berlusconi sarà costretto, pur se obtorto collo, a creare una lista comune con Lega e FdI. Per il Pd una lista comune con Pisapia e Alfano sa- rebbe invece prima di tutto più difficile e in secondo luogo molto meno efficace, perché la presenza delle due ali allontanerebbe elettori da una parte e dall’altra. Ma soprattutto dopo essere entrato in Parlamento con una lista comune per Berlusconi sarebbe molto più difficile, ove la destra non avesse i numeri per governare da sola, sfilarsi dall’alleanza con Salvini per dar vita al governo di larghe intese Pd- Fi.

Per Renzi l’ipotesi migliore sarebbe quella che nel partito azzurro è sostenuta da Gianni Letta: al voto con il Consultel-lum ma senza lista comune Fi Lega. Però nemmeno Gianni Letta è in grado di convincere un Silvio gasato come non lo si vedeva da anni a combattere senza neppure una chance di vittoria: quella strada sembra dunque preclusa. Il Rosatellum, almeno, garantisce l’ingresso di Fi col suo simbolo, senza bisogno di impelagarsi in un listone, e soprattutto grazie al premio travestito da quota maggioritaria potrebbe assicurare i numeri necessari per il “governo del Nazareno”.

In realtà è lo stesso ragionamento che ha spinto Berlusconi a visitare, per il momento, una legge che lo convince poco. Il problema di Arcore è identico a quello del Nazareno: individuare la legge migliore per lasciarsi aperte le porte per il governo con il Pd. Il Rosatellum sembra in effetti offrire qualche chance in più ma a Berlusconi non sfugge quanto acuminate siano le spine che corredano la rosa in questione. Nella sfida interna al centrodestra la legge va soprattutto a favore della Lega e Berlusconi, all’indomani delle elezioni, rischia di trovarsi politicamente schiacciato tra i due Mattei. Tra i dubbi di Arcore, quelli di Renzi, i malumori dei deputati che con liste bloccate perderebbero ogni speranza di rientro in Parlamento e le paure dei forzisti del Sud, che al contrario di quelli settentrionali temono di essere tagliati fuori, il rischio che la legge venga affossata alla Camera è altissima. Se così non sarà, Renzi dovrà dar vita a una coalizione per evitare di essere travolto da quella di destra. E’ pronto a concedere a Pisapia quelle primarie di coalizione che, per l’ex sindaco di Milano, sono la condizione per allearsi con il Pd. L’Mdp di Bersani e D’Alema però non seguirà il leader di Campo progressista e allo stesso modo, sul lato destro, il probabile arruolamento di Alfano non implicherà il sostegno dell’intero fronte centrista. Dalle file di Ap saranno infatti molti quelli che, come sta già accadendo in Sicilia, cercheranno invece un modo per tornare all’ovile di Arcore.