«Ha ragione Greta. A cosa servono applausi e standing ovation se poi i governi non fanno nulla per combattere i mutamenti climatici e per rendere più vivibile il pianeta?». Da sempre, per Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola per le qualità italiane, già presidente di Legambiente ed ex presidente della Commissione Ambiente della Camera, «in materia di politiche ambientali, le parole non bastano».

Greta, dunque, rischia di essere solo una moda? Un fenomeno di costume?

Al contrario. La presenza di Greta tra i ragazzi è fondamentale per far emergere la coscienza ambientalista che le nuove generazioni hanno, ma finora che finora vivevano confusamente senza trovare la strada giusta per esprimersi.

La testimonianza di questa caparbia sedicenne svedese va dunque presa sul serio?

Sì, purché non produca solo pacche sulle spalle e complimenti, o, peggio, venga usata per una falsa coscienza ambientalista. Può invece essere un reale stimolo per governi e imprese ad assumere comportamenti responsabili e a fare scelte che costruiscano un’economia e una società diversa.

D’altronde, le ricerche della Fondazione Symbola dimostrano che si sta facendo strada una diversa consapevolezza, specialmente in un certo mondo imprenditoriale…

Certo, un pezzo della società si muove con decisione verso politiche più sostenibili, non per bontà d’animo, ma perché essere più virtuosi conviene e ci garantisce un futuro. Symbola parla attraverso fatti e dati. Ma possiamo notare anche come sia cambiato anche l’immaginario collettivo. Basta pensare che James Bond, nel film che celebra il venticinquennale della saga, invece che Aston Martin, Jaguar e Ferrari con i motori turbo e superaccessoriate, avrà una auto elettrica. Insomma, ormai ci si rende ormai conto che è arrivato il momento per un cambio di rotta. E non per una reazione alla paura di catastrofi e cataclismi, ma perché, come dimostrano le nostre ricerche, le buone pratiche convengono anche all’economia. Come diceva il verde Alex Langer, la conversione ecologica potrà affermarsi solo se sarà socialmente desiderabile.

Siamo dunque a questo punto? A uno snodo perché la nostra casa brucia, come avvertono Greta e le giovani generazioni? Davvero, come sostiene la Fondazione Symbola nei suoi rapporti, la green economy può essere un antidoto contro la crisi?

Certo. L’economia green ha prima arginato la crisi economica e ora è uno stimolo per agganciare e sostenere la ripresa. E un indubbio fattore di competitività che trova le sue radici nel peculiare modello economico italiano, in cui efficienza, qualità e bellezza, coesione sociale e legami territoriali alimentano i fatturati delle imprese. E anche un’arma in più per contrastare i mutamenti climatici, in linea con quanto indicato dal recente rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change). E questo grazie a quelle aziende, un quarto del totale, che negli ultimi cinque anni hanno fatto investimenti green.

Quasi si stenta a crederlo.

Invece, siamo di fronte a una bella realtà. Siamo il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti ( urbani, industriali etc., inclusi quelli minerari). Con il 79 per cento di rifiuti avviati a riciclo l’Italia presenta un’incidenza più che doppia rispetto alla media europea ( 38%) e ben superiore rispetto a tutti gli altri grandi Paesi europei. La Francia è al 55%, il Regno Unito al 49%, la Germania al 43%. Siamo, insieme alla Germania, il Paese leader europeo in termini di quantità di materie seconde riciclate nell’industria manifatturiera. E questa sostituzione di materia nell’economia italiana comporta un risparmio potenziale pari a 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 58 milioni di tonnellate di CO2. Tutti gli obiettivi fissati dalle nuove direttive europee sui rifiuti urbani al 2025 o sono già stati raggiunti ( come, caso esemplare in Europa grazie al sistema Conai, per il totale degli imballaggie per tutti i singoli materiali, ad eccezione della plastica) o sono prossimi ad essere raggiunti ( come l’obiettivo di raccolta differenziata). Sono in ogni caso necessarie semplificazioni normative, un’incentivazione degli acquisti verdi e un’impiantistica adeguata.

La parola, passa quindi, come sempre alla politica. Anzi, alla verifica della volontà politica. Greta è entusiasta, ma realistica. Si dichiara molto diffidente e si domanda in quale pianeta saranno costretti a vivere i ragazzi e le ragazze della sua generazione.

La sfida sui mutamenti climatici ci riguarda tutti. In particolare riguarda l’Europa, che finora è stato il continente più virtuoso. Dobbiamo continuare su questa strada. Solo con una più forte azione europea si potranno applicare in pieno gli accordi sul clima di Parigi e sull’emissione di gas serra di Kyoto, dai quali, gli Stati Uniti si sono sfilati. Sta a noi cittadini europei e alle istituzioni europee vigilare affinché siano applicati e mantenuti per continuare ad essere il continente guida in questo campo.