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dal nostro inviato ad Amatrice«È peggio che a L'Aquila». È questa la frase che più si sente pronunciare ad Amatrice. Lo dicono i sopravvissuti, parlando al telefono coi loro cari che hanno visto le immagini della devastazione in Tv, e lo ripetono, sottovoce, i soccorritori. Il secondo giorno dopo il terremoto gli abitanti del paese laziale sono stremati. Alcuni hanno trascorso la notte nelle tende allestite dalla Protezione civile, altri stipati tra gli spalti del palazzetto dello sport (la struttura che ospita pure il centro di raccolta indumenti), altri ancora in automobile o su una panchina. Si spera vada meglio la seconda sera, visto che nel frattempo sono stati allestiti altri tre campi grazie al sostegno della Colonna mobile del Friuli Venezia Giulia, all'Anpas e alla Regione Lazio. In tutto mille posti letto all'interno di tende munite di cucina, centri ristoro e in alcuni casi di un "posto medico avanzato". «Io ho dormito al palazzetto, non sono di qui, vivo a Roma», racconta Bruno. «Ma qui c'erano mia cognata e sua madre, purtroppo non c'è l'hanno fatta, non è rimasto più niente, il centro si è sbriciolato».I morti sono saliti a più di 250 e sono ancora tante le persone intrappolate sotto le macerie, ma nessuno, nemmeno i parenti delle vittime, può più avvicinarsi a quello che fino a due giorni fa era il corso di Amatrice. L'accesso è interdetto persino ai volontari arrivati qui da mezza Italia per dare una mano ai soccorritori. Una grande "zona rossa" circonda la città per non intralciare il lavoro degli escavatori dei Vigili del fuoco. «Lei non può capire quello che ci è successo» racconta una donna in lacrime, «è un disastro, non ci sono più le case, non c'è più luce, non c'è più gas, possiamo contare solo i morti». Mentre parla, una famiglia di tre persone le passa accanto trascinando una carriola da muratore piena di bottiglie d'acqua prese nel tendone della Croce rossa. «È come se ci avessero bombardato», continua la donna. Ed è quella la sensazione che si prova quando si arriva ad Amatrice. La via Salaria che porta verso i Paesi colpiti dal sisma si è trasformata in una sorta di corridoio umanitario in cui transitano colonne di ambulanze, pickup della protezione civile, giardiniere dei carabinieri e mezzi dei pompieri che trasportano cingolati. I camion a un tratto si inerpicano lungo strade larghe tre metri al massimo, sfiorando gli scheletri di case rimaste in piedi per un soffio, attraversando piccole frazioni diventate spettrali.La gente è in fila per il pranzo, mentre la Protezione civile continua a canalizzare gli accessi al paese insieme ai vigili urbani. Non possono passare neanche i mezzi della polizia. È questo l'ordine del primo cittadino Sergio Pirozzi che vuole evitare intasamenti inutili. «Il sindaco ha fatto bene» racconta Maurizio, volontario lombardo della Protezione civile, arrivato nel comune laziale poche ore dopo il sisma. «Ieri ci abbiamo impiegato quasi due ore per percorrere gli ultimi due chilometri prima dell'ingresso in paese. Regnava il caos, c'erano troppe macchine che rallentavano i soccorsi». Poi Maurizio parla della sua esperienza in zone d'emergenza: dopo terremoti e alluvioni. «Sono stato volontario anche a L'Aquila, ma questo è un evento più subdolo», spiega prima di venire interrotto da una donna che chiede informazioni. È stata contattata telefonicamente per il riconoscimento di un parente e non sa dove deve andare.Il rischio crolli resta molto alto. Soprattutto perché qui la terra continua a tremare. Attorno alle 14,35 tutti fanno un balzo. Il sismografo registra una scossa di 4,3 gradi Richter e si alza un polverone vicino al campanile della chiesa distrutta dal sisma. C'è stato un nuovo crollo a pochi passi dal punto in cui i mezzi dei pompieri sono all'opera. Fortunatamente non si fa male nessuno. Ma lesiona una delle poche strutture rimaste in piedi: il palasport che viene subito evacuato. I volti dei presenti sono una maschera d'angoscia e rabbia, è come se chiedessero pietà a un mostro che si è già portato via quasi tutto. «È stata proprio forte», dice, uscendo dalla zona rossa, un agente trentino della Guardia di finanza riferendosi alla scossa pomeridiana. È arrivato la sera prima insieme alla squadra cinofila di cui a parte. Sì, perché Amatrice in queste ore è la città dei cani. Le speranze di trovare vive altre persone dipendono dal fiuto di questi animali addestrati dalle Fiamme gialle. «Stamattina il mio cane ha trovato il corpo di una donna, purtroppo senza vita», prosegue l'agente che ha appena finito il suo turno. «Credo che più tardi concentreremo le ricerche nell'area dell'hotel Roma, nella speranza di trovare vivo qualcuno». L'unica consolazione è che nella struttura alberghiera, al momento del crollo, era presente un numero di ospiti inferiore a quanto ipotizzato in un primo momento. «Siamo riusciti a metterci in contatto con i proprietari dell'Hotel Roma, che sono ricoverati in ospedale all'Aquila, e ci hanno riferito che risultavano registrate 35 persone» ha detto in mattinata il sindaco di Amatrice. Ma i ragazzi del servizio speleologico alpino fanno comunque su e giù senza sosta dentro la zona rossa.Un altro elicottero si alza in volo. La speranza è che vada a recuperare un superstite. I pompieri non si sono fermati un momento. E chi riesce a riposare durante un cambio turno prova a dormire sdraiato per terra o chiacchiera coi colleghi. Mentre un'altra sera sta calando su Amatrice e sui suoi cittadini martoriati.