Non vorrà il sostegno delle correnti, ma dei voti del Sud ha bisogno eccome. Così, appena ufficializzata la propria candidatura alla guida del Pd, Stefano Bonaccini ha cominciato a lanciare segnali distensivi nei confronti dei suoi colleghi governatori di Campania e Puglia, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, il cui appoggio significherebbe vittoria sicura alle Primarie. I due presidenti di Regione - campioni di consensi e di tessere - uomini del fare come lo stesso Bonaccini, sarebbero uno sponsor prezioso e coerente per l'aspirante segretario. Ma, come raccontato dal Dubbio pochi giorni fa, il governatore emiliano sa che a dividerlo dai suoi colleghi del Mezzogiorno c'è un ostacolo enorme da aggirare con destrezza: l'autonomia differenziata.

L'Emilia Romagna, infatti, è una delle tre Regioni ad aver indetto nel 2017 un referendum del tutto simile a quelli di Lombardia e Veneto per chiedere maggiore autonomia rispetto ad alcune materie attualmente di competenza statale. Un pugno nello stomaco per De Luca ed Emiliano, convinti che quel tipo di iniziativa debba essere sostanzialmente stracciata per non acuire ulteriormente le differenze tra Nord e Sud del Paese. Bonaccini sa che l'autonomia è il fianco scoperto della sua candidatura e prova a correre ai ripari poche ore dopo la sua discesa in campo. «Un’ autonomia differenziata che dovesse spaccare il Paese o aumentare gli squilibri non solo non ci interessa ma sarebbe un errore drammatico», dice in Tv il presidente dell'Emilia Romagna, intervistato da Lucia Annunziata a Mezz’ora in più.

«Noi abbiamo detto che l’ autonomia può essere possibile solo in questi casi: definire i Lep, togliere dal campo il tema dei residui fiscali, coinvolgere il Parlamento e poi togliere alcune materie divisive», come ad esempio «la scuola», scandisce Bonaccini intonando musica per le orecchie dei governatori del Sud, prima di chiosare: «Visto che Calderoli ha ritirato la bozza, mi auguro che si riparta da capo e queste sono le nostre condizioni. Altrimenti di autonomia non se ne può parlare».

In attesa che il quadro delle candidature si componga De Luca ed Emiliano incassano il segnale d’apertura dell’aspirante segretario senza sbilanciarsi più di tanto. La partita non è ancora cominciata ufficialmente e le truppe prendono tempo prima di schierarsi sul campo. Al momento, nonostante l’allergia alle correnti fieramente ostentata da Bonaccini, solo Base riformista, l’area degli ex renziani, ha già scelto il cavallo su cui puntare per le primarie: proprio il governatore emiliano. Il diretto interessato si mostra distaccato, punta il dito contro i padroni delle tessere, invoca un rinnovamento radicale della classe dirigente dem. Ma sa perfettamente che se davvero Dario Franceschini, Nicola Zingaretti e altri pezzi da novanta del partito hanno deciso di sostenere la scalata di Elly Schlein al Nazareno, ogni aiuto, ufficiale o no, delle vecchie correnti potrebbe rivelarsi determinante.

Bonaccini spera di convincere la maggior parte di iscritti e simpatizzanti puntando tutte le fiches sul recupero dell’orgoglio identitario dem all’insegna del pragmatismo e del buon governo. L’idea di fondo è quella originaria: interclassista e riformista. «Non vogliamo delegare ai 5 Stelle di rappresentare solo loro la sinistra, così come non vogliamo delegare al Terzo polo di rappresentare solo loro i moderati.

Questo spazio ce lo andiamo a riprendere noi», è il manifesto politico di Bonaccini, che pensa ancora a un partito in grado di contenere ( e rappresentare) tutto. Ma che allo stesso tempo riapre le porte delle alleanze: «Terzo Polo e M5S si mettano in testa che senza Pd non c’è coalizione in grado di battere la destra». In attesa che gli sfidanti si facciano avanti, la “macchina” Bonaccini si è già messa in moto.