La signora Anna Craxi, vedova di Bettino, come ci racontò in due delle sue rare interviste a Panorama e poi anni dopo a Il Dubbio, restò sorpresa e commossa da quelle nette parole che per la prima volta un presidente della Repubblica, peraltro proveniente dal Pci-Pds-Ds, area “migliorista”, usò a difesa dello statista socialista, morto in esilio a Hammamet, a soli 65 anni. Ne avrebbe compiuti 66 il mese successivo. Il famoso fax di casa Craxi, sulla collina, detta in Tunisia “dei serpenti e degli sciacalli”, senza vista mare, sfornò la lettera dal Quirinale del Capo dello Stato, con un riconoscimento inedito: per Bettino Craxi fu usata “una durezza senza eguali”. Nella lettera, indirizzata alla vedova e a partire da lei a tutta la famiglia Craxi, Napolitano, pur senza rimettere, come precisa, l’esito delle conclusioni della vicenda giudiziaria, ricordò anche una delle decisioni della Corte europea di Strasburgo che annullarono alcune sentenze di condanna di Craxi perché emesse “senza giusto processo”.

Resta finora l’unica presa di posizione sul “Caso C. “ di un presidente della Repubblica e anche, implicitamente, la più netta o tra le più nette denunce, comunque la più altisonante, contro il particolare accanimento di “mani pulite” nei confronti dell’ex leader del Psi e dell’ex premier che guidò il governo della cosiddetta Prima Repubblica, realizzando significative riforme. Il “Caso C.”, unico nel mondo occidentale, che continua a non fare onore all’Italia, cui dette una lezione di civiltà la piccola e povera Tunisia, ospitando Craxi come rifugiato politico (trattato italo-tunisino 1966), è ora inevitabilmente intrecciato allo strano caso di un Capo dello Stato, ex presidente della Camera, ex ministro dell’Interno, e soprattutto ex esponente di spicco dell’area “migliorista”, la destra interna al Pci, che durante Tangentopoli aprì per la prima volta le porte di Montecitorio alla Guardia di Finanza, dette il via all’eliminazione dell’immunità parlamentare, o meglio al grosso di questa ultima trincea a difesa del primato della politica. Un presidente che però non sposò a testa china il durissimo scontro ingaggiato da Enrico Berlinguer contro Craxi sul decreto di San Valentino, scontro, perso dal Pci al referendum, contro una misura che salvò l’Italia dall’inflazione galoppante. Una battaglia contro il governo Craxi che anche lo stesso segretario generale della Cgil, Luciano Lama, altro esponente dei “miglioristi”, liquidati nel Pci come “gli amici di Craxi", non approvò dentro di sé, ma disse sì in nome di quella disciplina di partito unanimistica sigillata dalla regola del “centralismo democratico”. Ma qui entra in campo la storia di una componente minoritaria del Pci che non raggiunse l’obiettivo più avanzato del riformismo anche sul piano della giustizia, pur essendo stata per paradosso l’unica dell’ex Pci poi lambita e colpita da “mani pulite”, insieme con il Psi e la destra della Dc.

Emanuele Macaluso, il più eretico e coraggioso dei “miglioristi”, pur fraterno amico e compagno, una volta, lui l’ex stretto collaboratore di Palmiro Togliatti, in privato ammise: “Giorgio è troppo cauteloso”. Ma qui entra in campo la complessa figura e anche affascinante storia di un presidente venuto dall’alta borghesia intellettuale di avvocati di Napoli, con tanto di amicizia familiare con il liberale Benedetto Croce, con un padre, come lo stesso Napolitano racconta nella sua autobiografia, che non si entusiasmò per la scelta del figlio di abbracciare il Pci, fino a diventare, anche in virtù di queste alte origini sul piano sociale, il primo comunista ad avere il lasciapassare per la Casa Bianca. Napolitano non condannò neppure l’invasione in Ungheria. E non andò, seppur in visita ufficiale a Tunisi, sulla tomba di Craxi al cimitero cristiano a Hammamet. Ma quelle sue nette parole a difesa dello statista socialista, che nelle sue litografie è stato molto duro e graffiante con “il Nap”, seppur molto postume restano con tutta la loro autorevolezza.

La sinistra dovrebbe ripartire anche da lì per fare finalmente i conti con il “Caso C.” e tutte le conseguenze negative per il Paese. Non solo per la stessa sinistra. Stefania Craxi, senatrice Fi, presidente commissione Esteri e difesa, pur criticando Napolitano, per "mancanza di determinazione nel difendere il primato politica”, gli dà atto di “un gesto importante, compiuto da un comunista che aveva a lungo sperato nella ricomposizione unitaria della sinistra italiana". Quelle parole del “Nap” restano pure scolpite nella memoria di suo fratello Bobo Craxi. E certamente della signora Anna Maria Moncini, vedova Craxi.