Parte da una contestazione Francesco Paolo Sisto: «Quando si dice che una persona è considerata non colpevole fino a sentenza definitiva, la Costituzione non dice che non è colpevole solo per i pubblici ufficiali, ma che non è colpevole per tutti, tout- court. Non è colpevole e basta». È il modo più disarmante per ricordare la contraddizione che, nell’informazione giudiziaria, non è stata risolta neanche dal pur notevole passo avanti compiuto con le nuove norme sulla presunzione d’innocenza. Il viceministro della Giustizia ne parla alla presentazione del saggio “Il processo mediatico”, organizzata ieri mattina nella sala stampa di Montecitorio.

Autori del libro sono un giornalista, Andrea Camaiora – divenuto anche docente universitario di quella particolarissima materia nota con la definizione anglosassone “Crisis communication e litigation Pr” – e Guido Stampanoni Bassi, penalista che ha “inventato”, e che dirige, la rivista “Giurisprudenza penale”.

L’azzurro Sisto è il protagonista della mattinata insieme con il vicesegretario di Azione Enrico Costa, da poco eletto al vertice della giunta per le autorizzazioni di Montecitorio e, soprattutto, titolare della prima, decisiva iniziativa parlamentare che, nella scorsa legislatura, ha portato al decreto sulla tutela “mediatica” delle persone accusate. Ora, appunto, quelle norme, in linea con la direttiva europea del 2016, introducono vincoli, assistiti da sanzioni disciplinari, solo per le autorità pubbliche: essenzialmente per i magistrati. Nulla può, il decreto emanato l’anno scorso, di fronte alle distorsioni che il sistema informativo realizza anche “senza la complicità” delle toghe. A questo si riferisce Sisto quando dice che l’articolo 27 dovrebbe valere per tutti e rappresentare, dunque, un onere anche per la stampa.

«Dobbiamo chiederci se nel nostro sistema vi siano già delle norme che evitino il processo mediatico. Io credo ci siano, credo che la deontologia consenta già un intervento», aggiunge il viceministro. «Non c’è una giustificazione a drammi personali che sono barbari, soprattutto per i soggetti più fragili. Nessuno si sogna di intaccare il diritto a informare, ma occorre evitare una sorta di sviamento dell’informazione stessa», per Sisto. E lo «sviamento» non produce solo danni reputazionali ma, in molti casi, persino conseguenze processuali: «Quando si crea l’aspettativa della condanna spesso serve un giudice coraggioso per assolvere: dovremmo sforzarci di raggiungere un equilibrio nell’informazione, che renda il giudice libero di decidere», ricorda Sisto.

Ci sono i rimedi per prevenire le degenerazioni, e ci sono anche quelli da adottare “ex post”, quando la vicenda penale si è chiusa magari con un’assoluzione. Su questo in particolare si sofferma Costa, secondo il quale «lo Stato deve svolgere le indagini con mezzi e risorse adeguate, ma deve anche garantire che quando una persona entra nel tritacarne dell’indagine e ne esce da innocente, deve essere la stessa persona che ne è entrata». Ma come ripristinare l’integrità di un’immagine deturpata dal “processo mediatico”? Costa annuncia una proposta di legge per istituire il «Garante della Presunzione d’innocenza» o per «assegnarne le funzioni al Garante della Privacy». Ed è essenziale, secondo il vicesegretario di Azione, «ristabilire l’ordine laddove c’è stato uno sbilanciamento tra quanto emerso nelle notizie delle indagini e l’effettiva assoluzione al termine del processo».

Nel “tritacarne” c’è un ingranaggio più efferato degli altri: la galera. E per questo Costa punta anche a una norma che introduca «il giudice collegiale per autorizzare la custodia cautelare» e «l’interrogatorio della persona da arrestare, da svolgersi, per quanto possibile, prima che questa varchi la soglia del carcere: una volta entrati, anche se ci si rimane poco, si esce diversi per tutta la vita». Salvare le persone da una giustizia- carnefice: non dovrebbe essere una priorità per qualsiasi Paese civile?