Sentite. Sentite Giovanni Guzzetta. Costituzionalista e avvocato, anche se c’è chi per questo tenderebbe ad escluderlo dal novero degli interlocutori credibili.Certo Guzzetta, professore a Tor Vergata, è tra i docenti di Diritto costituzionale più apprezzati del Paese, ed è conteso fra giurisdizioni di ogni tipo, Consiglio di Stato incluso, quale componente di organi di garanzia e autogoverno, ma ha avuto anche il coraggio di condurre battaglie davvero solitarie, come quelle per i referendum maggioritari. Quindi, tutto si può dire ma non che il professor Guzzetta cerchi di salire su carri più o meno vincenti.

«Partiamo da una premessa logica, prima che tecnica: l’argomento che la prescrizione infinita si giustifichi perché si farà una riforma acceleratoria del processo che la disinnescherà è palesemente contraddittorio. Perché delle due l’una: o si ritiene che la riforma del processo sarà così efficace da rendere inutile la riforma della prescrizione, e allora perché farla?», si chiede più che sensatamente Guzzetta. «Oppure si teme che, quale che sia la possibile accelerazione, nessuno possa garantire che i processi si concludano in tempi sufficienti. Ma allora, scusate, è davvero contraddittorio dire che la giustificazione della prescrizione eterna è nella riforma penale prossima ventura...».

Ecco, professore: sul piano della coerenza ci sono molte falle. Eppure l’idea di fondo a cui il governo si ispira sulla giustizia potrebbe in realtà esserci: offrire al pm tutti gli strumenti possibili per veder confermata la propria supposizione accusatoria, a costo di sacrificare tutto il resto.

Partiamo dalla prescrizione. Dalla natura dell’istituto. Risponde alla seguente domanda: fino a che punto è giusto lasciare un cittadino sospeso ai tempi della giustizia? Finora si è ritenuto di bilanciare il suo interesse a non essere sotto processo a vita con quello dello Stato a perseguire i reati. Ora il primo valore è annullato. E forse non se ne considerano le conseguenze.

A cosa si riferisce?

Agli effetti extra penali: restare sotto processo a tempo indeterminato compromette reputazione, attività professionale, serenità familiare.

Conte, o Bonafede, le obietterebbero: l’ultimo lodo ha cambiato le cose, non è vero che si rischia il processo infinito perché in caso di assoluzione in appello la prescrizione si ricalcola normalmente.

Innanzitutto ci troveremo di fronte a una disparità di condizione tra chi in primo grado è assolto è chi è condannato. Il che pone diversi problemi di legittimità costituzionale.

Nonostante le modifiche apportate dal lodo bis?

Sì, a mio parere. Innanzitutto perché la prescrizione provvede, per sua natura, a stabilire un termine entro il quale lo Stato può perseguire un crimine a prescindere dall’innocenza o dalla colpevolezza della persona accusata. È così, è la logica dell’istituto. Perciò far rilevare, ai fini della prescrizione, un accertamento provvisorio immette nell’istituto una logica di irragionevolezza. E si viola così il principio di ragionevolezza sancito all’articolo 3 della Costituzione. A questo si aggiunge, com’è evidente, una lesione della presunzione di non colpevolezza.

I sostenitori del lodo dicono: una condanna in primo grado attenua quella presunzione.

Non è affatto così. La presunzione di non colpevolezza non è un principio graduato. Così come non si può essere mezzi incinti, o si è presunti innocenti o non lo si è. La presunzione a metà non esiste.

E siamo al secondo profilo di incostituzionalità, ex articolo 27.

Il terzo? Eccolo: se lo schema resterà quello rappresentato nelle ultime ore, con il blocco della prescrizione in caso di condanna, finirà che un colpevole assolto in primo grado godrà di una situazione più favorevole rispetto a un innocente che in primo grado è condannato per errore. Il colpevole assolto infatti può veder maturare la prescrizione, l’innocente condannato non può vederla maturare.

Conte e Bonafede le ribatterebbero: sì, ma chi ha subito in primo grado una condanna ingiusta poi tanto recupera tutto il tempo di prescrizione perduto, in caso di assoluzione in appello.

Sì, peccato però che non sia previsto un limite di tempo, al giudizio di appello.

Ecco.

Quindi un condannato in primo grado può stare sotto processo in appello anche dieci anni. E le assicuro che non è un’ipotesi di scuola. Torniamo alla domanda che fa da presupposto all’istituto della prescrizione: quanto tempo è legittimo che un cittadino innocente resti sotto la spada di Damocle della giustizia?

Chiarissimo.

Vede, siamo allo snodo. E qui che la posizione di chi è garantista si divarica dal giustizialismo. Perché dal primo punto di vista, bisogna innanzitutto tutelare un innocente dal rischio che una norma possa consegnarlo a una condizione di sofferenza eccessiva. Dal punto di vista dei giustizialisti pur di perseguire un colpevole è giusto sacrificare la possibilità di tutelare un innocente.

In effetti Bonafede dice: abbiamo eliminato gli spazi di impunità.

Dovrebbe dirci un’altra cosa: quanti sono i condannati in primo grado che vengono riconosciuti innocenti in appello, o addirittura in Cassazione? Non ce lo si dice, forse, perché se l’opinione pubblica comprendesse il rischio di vedere condannati degli innocenti ci sarebbero meno persone favorevoli alla prescrizione infinita.

Ma se la sente di scommettere su una bocciatura del lodo Conte da parte della Consulta?

Non ha senso fare pronostici. Però posso dire, da avvocato, che se un cliente mi chiedesse di difenderlo davanti alla Corte costituzionale con gli argomenti sopra ricordati, riconoscerei che si tratta di argomenti con una notevole dignità.

Il presidente del Cnf Mascherin chiede che un tavolo aperto da Bonafede anche all’opposizione disegni una riforma penale capace di sopravvivere ai cambi di governo.

Proposta sensatissima, come pure lo è un’altra di Mascherin: testare prima un’eventuale riforma penale per verificare se davvero è necessario intervenire sulla prescrizione. Sono d’accordo, certo, anche sulla necessità di superare un certo carattere della legislazione che, d’altronde, è generalizzato: la iteratività nevrotica, causidica, l’incapacità di sciogliere i nodi in modo sistemico. Con un approccio analitico ci accorgeremmo di quanto pesi l’obbligatorietà dell’azione penale, del rischio che con la nuova prescrizione il giudice sarà condizionato, perché sa che dalla sua sentenza dipende anche la possibilità che il reato si prescriva. Ma evidentemente è più comodo condurre battaglie ideologiche sulla pelle dei cittadini e delle persone offese, per qualche percentuale di consenso in più.