«Gli elettori del centrodestra vogliono una coalizione unita e noi dobbiamo provare a costruirla fino all’ultimo. Ma a partire dai programmi e non dagli slogan». Renata Polverini, deputata di Forza Italia ed ex segretario dell’Ugl, disinnesca le spinte della destra sovranista di Matteo Salvini e rilancia il dibattito interno del suo partito: «Fi deve riallacciare il filo con i propri elettori».

Onorevole, durante la manifestazione di sabato scorso, Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno lanciato la destra sovranista. Una nuova frattura nel centrodestra?

Non direi. La coalizione ha il dovere a confrontarsi su tutti e molti paesi europei si stanno riscoprendo sovranisti. Il punto, però, è di coniugare tutte le anime senza creare sterili contrapposizioni.

Anche se questo significa attaccare l’Europa?

Sovranismo non significa necessariamente disconoscere le nostre radici nell’Unione Europea e il valore ideale della sua missione quando venne fondata. Anche Forza Italia è critica nei confronti di un’Europa più focalizzata sui bilanci e poco sulle esigenze dei popoli. Nello stesso tempo, però, l’Unione Europea è un’opportunità, se si riesce a incidere sui rapporti di forza interni. In questo senso, l’elezione di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento europeo è il segno di come si possa essere critici in modo costruttivo.

Lei parla di coalizione, ma le distanze sembrano sempre più incolmabili.

Il popolo del centrodestra vuole vederci insieme e per questo noi di Forza Italia siamo obbligati a provarci fino all’ultimo. Mi limito a dire, però, che le coalizioni vanno fatte a partire dai programmi e non con gli slogan.

Eppure Salvini, oltre allo sgarbo di non aver sostenuto l’elezione di Tajani, continua a chiedere le primarie del centrodestra. Provocazioni?

A me sembra che Salvini le chieda più per creare fratture che per ricomporre le divisioni. Lo inviterei, poi, a dare uno sguardo ai dati: Silvio Berlusconi è ancora una forza significativa nel panorama del centrodestra e Forza Italia rimane il partito trainante. Aggiungo però che, tranne che sui giornali, quello delle primarie non è un dibattito centrale.

Parliamo allora di Forza Italia. Si sta muovendo qualcosa?

Il partito si sta riorganizzando, a partire dalla consapevolezza che si è creata una distanza con i cittadini. E’ arrivato il momento di riallacciare il filo del dialogo con i nostri elettori e tutti noi lo stiamo facendo. Io, come responsabile sulle questioni del lavoro, ho iniziato un tour a tappe per l’Italia, per incontrare le associazioni del lavoro e delle imprese, condividendo idee e soprattutto ascoltando le loro istanze.

E che clima trova? Non è esattamente un momento di slancio per quel mondo e i politici saranno tutt’altro che popolari...

Da un lato ho trovato grande apprezzamento per la riapertura del confronto. Dall’altra è certamente necessario fare i conti con la preoccupazione per una congiuntura economica difficile e la delusione dopo tre anni nei quali il governo Renzi ha annullato il dialogo sociale.

E chi sono i vostri interlocutori?

Forse la stupirà ma vengono davvero tutti, dalla Cgil a Confindustria. Dal meridione al settentrione, l’elemento che più mi ha sorpreso è trovare ad ogni latitudine la percezione che sul tema del lavoro non esista più una contrapposizione Nord- Sud, ma la necessità di pensare ad uno sforzo unitario per rilanciare il tessuto produttivo. Mi ha colpito poi la grande partecipazione dei ragazzi dei movimenti giovanili di Forza Italia, che partecipano con la voglia di essere protagonisti del dibattito.

Proviamo a elencare qualche punto di partenza del futuro programma per il lavoro?

Il tema più caldo rimangono gli effetti del jobs act e i correttivi necessari. Il mondo del lavoro si è trovato senza risorse ma soprattutto senza strumenti, a partire dalla mancata riforma dei centri per l’impiego. La questione centrale, però, è l’occupazione e la necessità di rilanciare la politica industriale del nostro Paese, anche con fondi pubblici. Gli imprenditori sono messi in ginocchio dalla difficoltà di accesso al credito e dal costo delle infrastrutture. Per esempio, in Italia il costo dell’energia è una zavorra che ci fa subire la concorrenza non solo dei paesi in via di sviluppo ma anche dei nostri vicini.

Parlare di programma, però, implica necessariamente la prospettiva del voto e ora si può, tecnicamente, andare alle urne. Lei lo vede probabile?

Io credo che prima di tutto sia necessario rendere omogenee le leggi di Camera e Senato, come ha chiesto Mattarella.

Forza Italia sostiene la prospettiva di un ritorno ad un sistema proporzionale. Come mai?

Perché, in un sistema diviso in tre poli quasi alla pari, una legge elettorale proporzionale è l’unica che garantisce la rappresentanza reale.

Anche a scapito della governabilità?

Proprio per scongiurarla servono dei correttivi alle leggi delle due camere, in modo da avere una maggioranza chiara e un Parlamento in grado di lavorare. Un elemento che andrebbe armonizzato e che mi sta molto a cuore è quello della rappresentanza di genere: alla Camera è garantita la parità nelle liste, al Senato no.

Ma secondo lei il Parlamento, oggi, è in grado di scrivere una nuova legge elettorale?

Io credo che oggi il Parlamento non possa chiudersi e occuparsi solo di legge elettorale. In altre parole, se si riapre a 360 gradi questo fronte per riscrivere una nuova legge da zero, si rischia di impantanarsi in discussioni infinite e dilatare i tempi.

Quindi Fi punta a piccoli correttivi sul sistema nato post- sentenza della Consulta?

Io credo che, con un po’ di buonsenso da parte di tutti, sia possibile fare un accordo leale che permetta di modificare i punti più critici e garantire i requisiti minimi di armonizzazione tra i sistemi di Camera e Senato. Altrimenti, il rischio è che il Parlamento torni ad offrire un pessimo spettacolo agli italiani.